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Francesco Filelfo

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Francesco Filelfo

Francesco Filelfo (Tolentino, 25 luglio 1398Firenze, 31 luglio 1481) è stato un umanista e scrittore italiano.

I suoi primi studi di grammatica, retorica e latino furono compiuti all'Università di Padova, sotto la guida di Gasparino Barzizza. Negli anni acquistò una tale reputazione da ricevere, nel 1417, la cattedra di oratoria e filosofia morale a Venezia. Egli si dedicò principalmente all'insegnamento di Cicerone e Virgilio, considerati al suo tempo l'espressione più alta dello stile latino.

Nel 1419 il governo di Venezia gli assegnò il ruolo di segretario del massimo rappresentante dei Veneziani (il bailo) a Costantinopoli. Durante i sette anni di permanenza nella città, egli acquisì una conoscenza del greco quotidiano probabilmente superiore a quella di qualsiasi suo contemporaneo, nonostante la sua conoscenza del greco classico rimanesse tutt'altro che impeccabile. In questo periodo sposò anche Teodora nipote di Manuele Crisolora, il dotto bizantino che per primo insegnò il greco in Italia e, su raccomandazione di quest'ultimo, fu impiegato in molte missioni diplomatiche dall'imperatore Giovanni VIII Paleologo

Nel 1427 accettò un nuovo invito delle autorità veneziane a riprendere la sua carriera di insegnante universitario. Da allora, la vita di Filelfo, che si sviluppò nei principali centri della cultura italiani (Venezia, Milano, Firenze, Siena), fu un alternarsi continuo fra lezioni universitarie, pubblicazioni di suoi scritti, amicizie con personaggi altolocati e dispute accese con i suoi avversari. Fu infatti uomo di grande vigoria fisica, con un'inesauribile energia intellettuale, un uomo dalle violente passioni e dai molti desideri; una persona orgogliosa, irrequieta, avida di soldi e gloria, incapace di fermarsi in una sede e sempre impegnato in querelle con i dotti del tempo.

Giunto a Venezia con la sua famiglia, trovò la popolazione della città decimata dalla peste. Si spostò quindi nel 1428 a Bologna, dove però i contrasti politici non consentivano un clima favorevole. Si trasferì allora a Firenze dove iniziò il periodo più intenso e brillante della sua vita 1429-1433. Durante la settimana illustrava i principali autori della letteratura latina, mentre, la domenica, spiegava Dante alla gente nella chiesa di Santa Maria del Fiore. Fu molto attivo come traduttore di testi greci classici: Omero, Aristotele, Plutarco, Senofonte, Lisia in particolare.

Il suo carattere lo portò a scontrarsi con Cosimo de' Medici e la sua cerchia. Così, quando Cosimo, in seguito alla lotta con la famiglia degli Albizzi, fu esiliato nel 1433, Filelfo cercò invano di convincere la signoria a condannarlo a morte. Ovviamente, al ritorno di Cosimo a Firenze, la posizione di Filelfo non era più sostenibile. Come egli asserisce, la sua vita era già stata messa in pericolo, per volontà degli stessi Medici. Per questo motivo, prontamente, accettò l'invito fattogli dalla città di Siena, dove non rimase che quattro anni, dal 1434 al 1438.

La sua fama di insegnante crebbe molto in Italia, tanto che Filelfo ricevette numerose offerte da vari principi e governi. Nel 1440 egli accettò quella fattagli dal principe di Milano Filippo Maria Visconti. Proprio qui si svolse la maggior parte della sua carriera, durante la quale esaltò i suoi mecenati, i Visconti prima e gli Sforza poi, con panegirici e poemi epici. Osteggiò quindi i nemici di corte, irridendoli in libelli o ridicolizzandoli con invettive; compose epitalami e orazioni funebri in onore di cortigiani importanti. A tutte queste attività affiancò l'insegnamento degli autori classici. Continuò inoltre nella sua attività di traduttore dal greco e la sua guerra personale, fatta di scritti e polemiche, con i suoi avversari di Firenze. Scrisse inoltre pamphlet politici sui grandi eventi della storia italiana e rimase in contatto con le più alte cariche politiche del tempo (quando Costantinopoli fu presa dai Turchi, egli riuscì persino a far liberare la madre di sua moglie grazie ad una lettera inviata al sultano Maometto II in persona).

Le orazioni e i poemi scritti su commissione gli procurarono introiti aggiuntivi, che non erano mai sufficienti a garantirgli il tenore di vita elevato che desiderava: perciò le sue lettere, talora vere e proprie adulazioni letterarie, abbondano di richieste di denaro ai suoi patroni.

Durante il secondo anno del soggiorno milanese, Filelfo perse sua moglie. Si risposò presto con una rappresentante delle famiglie milanesi più famose, Orsina Osnaga, alla cui morte sposò in terze nozze Laura Magiolini. A quanto emerge dal suo epistolario (di cui l'unica edizione completa è quella curata da Émile Legrand, lavoro encomiabile, ma con limiti notevoli nell'impostazione ecdotica), Filelfo fu profondamente legato a tutte e tre le mogli, nonostante le numerose occasioni di infedeltà che si procurava. Anche questo fu un tratto del suo carattere arrogante e irrequieto, ma allo stesso tempo sentimentale.

Alla morte di Filippo Maria Visconti, Filelfo, dopo una breve esitazione, strinse alleanza con Francesco Sforza, nuovo principe di Milano, al quale dedicò il poema epico Sforziade.

Quando anche Francesco Sforza morì, Filelfo, ormai 77enne andò a Roma (1475), dove si mise al servizio di papa Sisto IV, ricoprendo la cattedra di retorica. Ben presto, però, la sintonia con la città e il papato vennero meno, e dopo appena un anno lasciò Roma per ritornare a Milano.

Là scoprì a malincuore che la moglie era morta di peste. Ripensò allora a Firenze, sperando di potervi fare ritorno, dal momento che l'ostilità dei Medici nei suoi confronti si era attenuata con il passare degli anni. Per ottenere il favore della signoria, in occasione della congiura dei Pazzi (1478), che aveva attentato alla vita di Lorenzo il Magnifico, egli scrisse anche al suo precedente mecenate Sisto IV denunciando la sua partecipazione in tale complotto. Lorenzo lo invitò ad insegnare il greco a Firenze, ma poco dopo il suo arrivo, nel 1481, Filelfo morì e fu sepolto nella basilica della Santissima Annunziata.

Filelfo merita di essere ricordato fra i più grandi umanisti italiani non per il suo stile (ma il suo latino è ciceroniano) né per l'elevatezza del suo ingegno né per l'accuratezza del suo insegnamento, ma per la sua energia e la sua completa adesione ai suoi tempi. La sua erudizione fu ampia ma male assimilata; la conoscenza degli autori antichi estesa ma superficiale; non fu brillante nell'immaginazione, non pungente negli epigrammi, non sublime in ambito retorico. Possedette una ricchissima raccolta di manoscritti, soprattutto greci, che fu spesso costretto a impegnare, per far fronte ai suoi numerosi debiti: nelle sue postille marginali rinvenute in molti di essi resta cristallizzata la continua e intensa lettura delle opere degli autori antichi e bizantini.

Bibliografia [modifica]

  • Francesco Filelfo, in «Dizionario biografico degli Italiani», Roma 1960
  • AA. VV., Francesco Filelfo nel quinto centenario della morte, «Atti del XVII convegno di Studi maceratesi, Tolentino, 27 - 30 settembre 1981», Padova 1986
  • I. G. Rao, Francesco Filelfo. Della disciplina morale, in «All'ombra del lauro», a cura di A. Lenzuni, Milano 1992
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