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Primo Levi

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Primo Levi

Primo Michele Levi (Torino, 31 luglio 1919Torino, 11 aprile 1987) è stato uno scrittore italiano, autore di racconti, memorie, poesie e romanzi.

Nel 1944 venne deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Il suo romanzo Se questo è un uomo, che racconta le sue esperienze nel lager nazista, è considerato un classico della letteratura mondiale.

Primo Levi venne trovato morto nell'aprile 1987 alla base della tromba delle scale di casa sua, dando adito a sospetti di suicidio.[1][2][3]

Indice

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[modifica] Biografia

Nato a Torino il 31 luglio 1919 da Ester Luzzati e Cesare Levi, appartenenti ad una famiglia di origini ebraiche proveniente dalla Provenza e dalla Spagna, Primo Levi visse un'infanzia turbata da alcune incomprensioni con il padre, dovute ad una notevole differenza di età e differenze di carattere. Nel 1934 si iscrisse al Liceo classico Massimo d'Azeglio di Torino, noto per aver ospitato docenti illustri e oppositori del fascismo come Augusto Monti, Franco Antonicelli, Umberto Cosmo, Norberto Bobbio, Cesare Pavese, Massimo Mila, Leone Ginzburg e molti altri. Questi insegnanti furono però allontanati e il clima politico lì presente si raffreddò.

[modifica] Studi universitari e prime esperienze lavorative

Nel 1937 si diplomò e si iscrisse al corso di laurea in chimica presso l'Università di Torino. Nel novembre del 1938 entrano in vigore in Italia le leggi razziali, dopo che in Germania l'antisemitismo si è manifestato attraverso atti di violenza e sopraffazione. Tali leggi introducono gravi discriminazioni ai danni dei cittadini italiani che il regime fascista considera "di razza ebraica". Le leggi razziali ebbero un determinante influsso indiretto sul suo percorso universitario ed intellettuale.

« Nella mia famiglia si accettava, con qualche insofferenza, il fascismo. Mio padre si era iscritto al partito di malavoglia ma si era pur messo la camicia nera. Ed io fui balilla e poi avanguardista. Potrei dire che le leggi razziali restituirono a me, come ad altri, il libero arbitrio. »

Le leggi razziali precludevano l'accesso allo studio universitario agli ebrei, ma concedevano di terminare gli studi a quelli che lo avessero già intrapreso. Levi era in regola con gli esami, ma, a causa delle leggi razziali, aveva difficoltà a trovare un relatore per la sua tesi, finché nel 1941 non si laureò con lode, con una tesi in fisica. Il diploma di laurea riporta la precisazione «di razza ebraica». In quel periodo suo padre si ammalò di tumore. Le conseguenti difficoltà economiche e le leggi razziali resero affannosa la ricerca di un impiego. Venne assunto in maniera semi illegale da un'impresa, con il compito di trovare un metodo economicamente conveniente per estrarre le tracce di nichel contenute nel materiale di scarto di una cava d'amianto. A questo periodo risalgono i primi esperimenti letterari, due brevi racconti pubblicati molti anni dopo all'interno della raccolta Il sistema periodico.

Nel 1942 si trasferì a Milano, avendo trovato un impiego migliore presso una fabbrica svizzera di medicinali. Qui Levi, assieme ad alcuni amici, venne in contatto con ambienti antifascisti militanti ed entrò nel Partito d'Azione clandestino.

[modifica] Nel campo di Auschwitz

L'ingresso al campo di concentramento di Auschwitz in inverno
L'avventuroso viaggio di ritorno, descritto nel romanzo La tregua, da Auschwitz a Torino.

Nel 1943 si inserì in un nucleo partigiano operante in Val d'Aosta. Poco dopo, nel dicembre 1943, venne arrestato dalla milizia fascista nel villaggio di Amay, sul versante verso Saint-Vincent del Col de Joux (tra Saint-Vincent e Brusson), e trasferito nel campo di transito di Fossoli insieme al suo Generale Luigi Casaburi presso Carpi, in provincia di Modena.

Il 22 febbraio 1944, Levi ed altri 650 ebrei vennero stipati su un treno merci (oltre 50 individui per vagone) e destinati al campo di concentramento di Auschwitz in Polonia. Levi fu qui registrato (con il numero 174.517) e subito condotto al campo di Buna-Monowitz, allora conosciuto come Auschwitz III, dove rimase fino alla liberazione da parte dell'Armata Rossa, avvenuta il 27 gennaio 1945. Fu uno dei venti sopravvissuti fra i 650 che erano arrivati con lui al campo.

Levi attribuì la sua sopravvivenza a una serie di incontri e coincidenze fortunate. Innanzitutto, leggendo pubblicazioni scientifiche durante i suoi studi, aveva appreso un tedesco elementare. Di rilevante importanza fu parimenti l'incontro con Lorenzo Perrone, un civile occupato come muratore, il quale, esponendosi a un grande rischio personale, gli fece avere regolarmente del cibo. In un secondo momento, verso la fine del 1944, venne esaminato da una commissione di selezione, incaricata di reclutare chimici per la Buna, una fabbrica per la produzione di gomma sintetica di proprietà del colosso chimico tedesco IG Farben. Insieme ad altri due prigionieri (entrambi poi deceduti durante la marcia di evacuazione) ottenne un posto presso il laboratorio della Buna, dove svolse mansioni meno faticose ed ebbe la possibilità di contrabbandare materiale con il quale effettuare transazioni per ottenere cibo. Nel far ciò si avvalse della collaborazione di un altro prigioniero a cui era molto legato, Alberto, anch'egli italiano. Infine, nel gennaio del 1945, immediatamente prima della liberazione del campo da parte dell'Armata Rossa, si ammalò di scarlattina e venne ricoverato nel Ka-be (dal tedesco Krankenbau, in italiano "infermeria del campo"), scampando così fortunosamente alla marcia di evacuazione da Auschwitz (nelle quali sarebbe morto Alberto, cui Primo non aveva potuto trasmettere la scarlattina, che il compagno aveva già contratto in età infantile).

Il viaggio di ritorno in Italia, narrato nel romanzo La tregua, sarà lungo e travagliato. Si protrarrà fino ad ottobre, attraverso Polonia, Bielorussia, Ucraina, Romania, Ungheria, Germania ed Austria.

[modifica] Chimico e scrittore

L'esperienza nel campo di concentramento lo sconvolse profondamente fisicamente e psicologicamente. Giunto a Torino, si riprese fisicamente e riallacciò i contatti con i familiari e gli amici superstiti dell'olocausto. Non trovando impiego, si spostò a Milano, dove venne assunto in una fabbrica di vernici. Mosso dalla prorompente necessità di testimoniare l'incubo vissuto nel lager, si gettò febbrilmente nella scrittura di un romanzo che fosse testimonianza della sua esperienza ad Auschwitz e che verrà intitolato Se questo è un uomo. In questo periodo conobbe Lucia Morpurgo, che diventerà sua moglie. Levi ebbe poi ad affermare che questo incontro sarebbe stato fondamentale per la stesura di Se questo è un uomo, permettendogli di passare dalla prospettiva dolorosa di un convalescente a quella descritta dall'autore nel libro Il sistema periodico con queste parole: "un'opera di chimico che pesa e divide, misura e giudica su prove certe, e s'industria di rispondere ai perché". Nel 1947 terminò il manoscritto, ma molti editori, tra cui Einaudi, lo rifiutarono. Venne pubblicato da un piccolo editore, De Silva. Nonostante la buona accoglienza della critica, inclusa una recensione favorevole di Italo Calvino su L'Unità, incontrò uno scarso successo di vendita. Delle 2500 copie stampate, se ne vendettero solo 1500, soprattutto a Torino.

In questo periodo Levi abbandonò il mondo della letteratura e si dedicò alla professione di chimico. Dopo una breve esperienza come lavoratore autonomo con un amico, trova impiego presso la Siva, una ditta di produzione di vernici di Settimo Torinese, di cui, in seguito, assumerà la direzione fino al pensionamento.

Nel 1956, a una mostra sulla deportazione a Torino, incontrò uno straordinario riscontro di pubblico. Riprese così fiducia nei propri mezzi espressivi. Partecipò a numerosi incontri pubblici (soprattutto nelle scuole) e ripropose Se questo è un uomo ad Einaudi, che decise di pubblicarlo. Questa nuova edizione incontrò un successo immediato.

Nel 1959 collaborò alle traduzioni in inglese e in tedesco. Quest'ultima traduzione era particolarmente significativa per Levi. Uno degli obiettivi che si era proposto scrivendo il suo romanzo era far comprendere al popolo tedesco che cosa era stato fatto in suo nome e di fargliene accettare una responsabilità almeno parziale.

Incoraggiato dal successo internazionale, nel 1962, quattordici anni dopo la stesura di Se questo è un uomo, incominciò a lavorare a un nuovo romanzo sul viaggio di ritorno da Auschwitz. Questo romanzo venne intitolato La tregua e vinse la prima edizione del Premio Campiello (1963) [4].

Nella sua produzione letteraria successiva, prendendo spunto dalle sue esperienze come chimico, l'osservazione della natura e l'impatto della scienza e della tecnica sulla quotidianità diventarono lo spunto per originali situazioni narrative.

[modifica] Negli anni settanta e ottanta

Nel 1975 decise di andare in pensione e di dedicarsi a tempo pieno alla sua attività di scrittore. Nello stesso anno uscì la raccolta di racconti Il sistema periodico, in cui episodi autobiografici e racconti di fantasia vengono associati ciascuno ad un elemento chimico. L'opera gli valse il Premio Prato per la Resistenza.

Nel 1978 pubblicò La chiave a stella. Questo romanzo, concepito durante i suoi numerosi soggiorni lavorativi, rappresenta un omaggio al lavoro creativo ed in particolare a quel gran numero di tecnici italiani che hanno lavorato in giro per il mondo a seguito dei grandi progetti di ingegneria civile portati avanti dall'industria italiana dell'epoca (anni sessanta e anni settanta). Nel luglio del 1978 La chiave a stella vince il premio Strega.

Nel 1982 tornò al tema della Seconda guerra mondiale, raccontando in Se non ora, quando? le avventure picaresche di un gruppo di partigiani ebrei di origini polacche e russe, che tendono imboscate ai tedeschi sul fronte orientale e giungono ad attraversare i territori del Reich sconfitto, sino a Milano, da dove alcuni prenderanno la via della Palestina per partecipare alla costruzione dello stato di Israele.

Nel saggio I sommersi e i salvati (1986) tornò per l'ultima volta sul tema dell'Olocausto, cercando di analizzare con distacco la sua esperienza, chiedendosi perché le persone si siano comportate in quel modo ad Auschwitz e perché alcuni siano sopravvissuti e altri no. In particolare estese la sua analisi a quella che definì "zona grigia", rappresentata da quegli ebrei che si erano prestati a lavorare per i tedeschi controllando gli altri prigionieri nei campi di concentramento.

L'11 aprile del 1987 Primo Levi morì cadendo dalla tromba delle scale della propria casa di Torino, dando adito al sospetto che si trattasse di un suicidio.[1] Questa ipotesi appare avvalorata dalla difficile situazione personale di Levi, che si era fatto carico della madre e della suocera malate. Il pensiero ed il ricordo del lager avrebbero, inoltre, continuato a tormentare Levi anche decenni dopo la liberazione, sicché egli sarebbe in un qualche modo una vittima ritardata della detenzione ad Auschwitz. Il suicidio di Levi rimane comunque un'ipotesi contestata da molti, poiché lo scrittore non aveva dimostrato in alcun modo l'intenzione di uccidersi e anzi aveva dei piani in corso per l'immediato futuro.[2][3]

Primo Levi abbandonò la fede ebraica dopo la terribile esperienza del lager: "Devo dire che l'esperienza di Auschwitz è stata tale per me da spazzare qualsiasi resto di educazione religiosa che pure ho avuto. C'è Auschwitz, dunque non può esserci Dio. Non trovo una soluzione al dilemma. La cerco, ma non la trovo.", dichiarò in un'intervista.[5]

Le spoglie dello scrittore riposano presso il campo israelitico del "Cimitero Monumentale" di Torino.[6]

[modifica] Lo stile letterario

Lo stile letterario di Primo Levi, come emerge dalle sue maggiori opere, è uno stile di stampo realista-descrittivo. Si tratta infatti di una narrazione asciutta, sintetica ed esauriente quanto basta per comprendere i sentimenti e lo sfondo sociale dell'ambientazione dell'opera: stile che ben si adatta al vasto pubblico a cui Levi intende rivolgersi, in special modo nella trattazione di un argomento di estrema importanza, come quello della prigionia in un Lager.

Esistono comunque differenze significative tra le varie opere, soprattutto Se questo è un uomo. L'opera prima fu infatti composta molto rapidamente, quasi con furia, sentendo incalzare la necessità di testimoniare il dramma, ancora molto recente all'epoca dei fatti; per le opere successive, a partire da La Tregua, Levi compone i propri libri in modo molto più sistematico, dandosi precise scadenze e scrivendo praticamente in orari prestabiliti. Questo dato composito è chiaramente rilevabile durante la lettura: se lo stile di Se questo è un uomo tradisce tutta l'urgenza della testimonianza immediata del sopravvissuto, ne La Tregua si riflette un'emozione differente.

[modifica] Opere di Primo Levi

[modifica] Note

  1. ^ a b Primo Levi in Treccani.it.
  2. ^ a b Primo Levi il suicidio resta un mistero, articolo del 21 aprile 2000 ora su Repubblica.it. URL consultato il 6-12-2009.
  3. ^ a b Primo Levi News in The New York Times online. URL consultato il 6-12-2009.
  4. ^ Intervista televisiva a Primo Levi di Luigi Silori, RAI, L'Approdo, 1963
  5. ^ Ferdinando Camon, Conversazione con Primo Levi.
  6. ^ [1], comune.torino.it

[modifica] Voci correlate

[modifica] Collegamenti esterni

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