Questo blog non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene aggiornato senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n. 62 del 07.03.2001.
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NOTE
45.000 nuovi casi l’anno – circa 2.400.000 edemi misti – circa 600.000 le forme pure tra primarie e secondarie (queste ultime in incremento e di pertinenza della riabilitazione fisica ed oncologica) – dei 600.000 circa il 15% evolve verso gli stadi clinici più evoluti con gravi ripercussioni sui ricoveri in ambito medico e chirurgico ed assenze più o meno protratte dalla vita lavorativa e sociale.
Sono contenuti nell’ampia bibliografia fornita.
grado A – grandi studi clinici randomizzati, meta-analisi,
assenza di eterogeneicità
grado B – studi clinici randomizzati anche in piccole
popolazioni, meta-analisi anche di studi non
randomizzati, possibile eterogeneicità
grado C – raccomandazione basata su studi osservazionali
e sul consenso raggiunto tra i membri autori
delle presenti linee-guida.
Il termine graduazione non è stato mai citato. Per classificazione si intende quella relativa all’etiopatogenesi, primaria o secondaria, con i relativi sottogruppi-
I punti 5 e 6 sono superati nel momento in cui si accetta, dal punto di vista dell’inquadramento della malattia secondo il concetto bio-psico-sociale, l’utilizzo dell’International Classification of Functioning (Classificazione il cui impiego è largamente auspicato dall’O.M.S.)
Sono già contemplati dai D.R.G. (ricordando che la malattia deve essere necessariamente inserita nell’ambito delle patologie vascolari), a seconda dei vari tipi di intervento (day hospital medico o riabilitativo, day syrgery, ambulatorio convenzionato).
Prima di tutto vanno inseriti nel nomenclatore (che ci risulta sarà aggiornato nel mese di dicembre). Sui costi ci si può attestare (fermi restando i rimborsi previsti dal documento per gli indumenti elastici nelle percentuali citate a seconda della classe di compressione) sui costi medi del mercato attuale (sia per quanto riguarda gli indumenti elastici che gli apparecchi di drenaggio meccanico (analogamente a quanto avviene, ad esempio, per le protesi acustiche).
Sede : A.S.L. di appartenenza. La stessa comunicherà, in tempo reale, i dati dei nuovi inserimenti (o, come auspicabile, i disinserimenti) all’Assessorato regionale di competenza che, a sua volta, potrebbe comunicarli al Ministero della Salute.
Strutture in cui si possa fornire il trattamento decongestivo complesso (non monoterapie) mediante personale specializzato e spazi ed attrezzature idonee-
Per la Chirurgia : Strutture di provata esperienza nazionale ed internazionale dotate di personale esperto e di attrezzature e spazi logistici adeguati.
Nelle forme secondarie sub-cliniche (linfadenectomia alla radice dell’arto con possibilità di sviluppo della malattia) è ugualmente raccomandata l’esecuzione dell’esame a scopo preventivo.
3) Requisiti per il riconoscimento e figure addette allo stesso
Per poter essere riconosciuto affetto dalla patologia in esame il paziente deve rispondere ai due requisiti su esposti : criterio clinico ed esame linfoscintigrafico.
Le figure autorizzate al riconoscimento ufficiale che porterà il soggetto ad usufruire dei benefici conseguenti sono : Angiologo, Fisiatra, Chirurgo generale, Chirurgo vascolare, Oncologo o altri specialisti o medici di base di comprovata esperienza (curriculum formativo).
A queste figure è opportuno che il medico di famiglia indirizzi il paziente con una relazione clinico-anamnestica del caso.
4) Registro dei pazienti
Una volta certificato il riconoscimento (sia per le forme primarie che secondarie) il paziente viene invitato ad iscriversi in un apposito Registro presso la propria A.S.L. di appartenenza; sarà cura dell’Azienda inoltrare periodicamente i dati del registro agli appositi organi Regionali ed al Ministero della Salute per il monitoraggio dei dati epidemiologici.
Da questo momento in poi il paziente ha il diritto di usufruire dei benefici conseguenti come descritto nei singoli casi clinici nei paragrafi successivi.
5) Stadi clinici e livelli assistenziali
La Classificazione clinica dei Linfedemi è auspicabile che segua, anche ai fini dell’ulteriore raccolta di dati epidemiologici sulla malattia e del monitoraggio della stessa la CEAP-L.
Per l’individuazione dei livelli assistenziali è opportuno seguire la Stadiazione clinica in 5 stadi.
Premesso che la letteratura internazionale, le linee guida mondiali e le linee guida nazionali, riconoscono ‘non valide’ dal punto di vista terapeutico le monoterapie (solo drenaggio linfatico manuale, solo pressoterapia sequenziale, solo ginnastica isotonica, solo bendaggio) è da proscrivere (almeno a livello di erogazione di servizi pubblici o privati convenzionati) protocolli terapeutici in monoterapia.
Il trattamento fisico decongestivo del linfedema deve potersi avvalere di tecniche di drenaggio manuali e strumentali consequenzialmente eseguite sul paziente in funzione del caso clinico (drenaggio linfatico manuale, pressoterapia sequenziale, mobilizzazione e decoaptazione articolare, bendaggio multistrato, ginnastica isotonica, tonificazione muscolare, mobilizzazione e sbrigliamento cicatriziale, ultrasuoni ed altre metodiche strumentali su fibrosi etc,).
In funzione di quanto detto si riconoscono i seguenti regimi assistenziali (indicati dalle figure specialistiche già citate: angiologi, fisiatri, chirurghi generali e vascolari, oncologi) :
CONDIZIONI CLINICHETEMPI DI ESECUZIONETEMPI DI RE-TRAININGAMBULATORIO CONVENZIONATOII, III, IV stadio in pazienti autonomi con compromissione articolare, muscolare o neurologica periferica10 – 30 sedute di Trattamento fisico decongestivo1 – 3 cicli l’anno secondo giudizio clinico specialistico
EX ART. 26
II, III, IV stadio con sufficiente autonomia funzionale, ipotrofie muscolari con deficit di forza, deficit articolari, iniziali complicanze cutanee
20 – 40 accessi
1 – 2 progetti l’anno secondo giudizio clinico specialistico
DAY HOSPITAL
III, IV stadio con interessamento di articola-zioni, ipotrofie muscolari, complicanze cutanee, deficit di forza moderato
1 – 30 accessi (a seconda che si tratti di struttura medica, chirurgica o riabilitativa)
1 – 2 cicli l’anno secondo giudizio clinico specialistico
RICOVERO IN DEGENZA
III, IV e V stadio con interessamento motorio, compromissioni articolari, gravi ipotrofie muscolari, complicanze cutanee, neuropatie.
Coesistenza di patologie sistemiche come diabete mellito, ipertensione arteriosa, connettiviti, malattia neoplastica, etc. o comunque in presenza di una grave disabilità.
7 – 30 giorni
Se e quando occorre a giudizio clinico (complicanze infiammatorie o infettive, ulcere, recrudescenza dell’edema con impotenza funzionale)
6) Prescrizione indumenti elastici:
Per il mantenimento ed il consolidamento dei risultati è noto (dalla letteratura internazionale e dalle linee guida nazionali ed internazionali) che è indispensabile l’utilizzo dell’indumento elastico definitivo (standard o su misura a seconda dei casi clinici ed a discrezione dello specialista che prende in carico il paziente). L’indumento elastico deve essere considerato in questi casi alla stessa stregua di una calzatura ortopedica in un paziente neurologico od ortopedico, di un apparecchio audiologico in un paziente ipoudente etc.. A tal fine deve essere introdotta ufficialmente la dicitura dell’indumento elastico (con proprio codice di riconoscimento) nel Nomenclatore Ufficiale che riporta i codici dei presidi, delle protesi, delle ortesi etc.
Gli indumenti elastici debbono rispettare le seguenti caratteristiche :
1) telai circolari o lineari.
2) materiali di qualità
3) uniformità e decrescenza di compressione dalla porzione acrale a quella prossimale dell’arto.
4) trama piatta
5) nessuna interruzione nella maglia
6) dichiarazione della classe di compressione espressa in mmHg alla caviglia o al polso
7) biestensibilità dell’elastomero e adattabilità alla forma dell’arto
tallone lavorato a maglia
9) areazione del tessuto
10) garanzia di durata dell’elastocompressione per non meno de sei mesi
Sono previste quattro classi di compressione :
1° classe 18 – 21 mmHg leggera
2° classe 23 – 32 mmHg moderata
3° classe 34 – 46 mmHg forte
4° classe > di 49 mmHg molto forte
Modalità di erogazione dei mezzi di compressione e contenzione elastica adeguati allo stadio clinico :
II compressione terapeutica (compartecipazione alla spesa da parte del paziente del 50% del costo);
III compressione terapeutica (compartecipazione alla spesa da parte del paziente del 25% del costo);
IV compressione terapeutica totalmente erogata dal SSN.
Prescrittori : Angiologi, Fisiatri, Chirurghi generali, Chirurghi vascolari, Oncologi o altri specialisti o medici di base di provata esperienza.
N.B.: il costo medio di un indumento standard è di 70 euro per la II compressione, 90 euro per la III compressione, 120 euro per la quarta compressione. Il costo medio di un indumento medio ‘su misura’ è di 140 euro per la II compressione terapeutica, 190 euro per la III compressione terapeutica, 240 euro per la IV compressione terapeutica.
Alcuni pazienti posso avere bisogno di un doppio indumento elastico (esempio: monocollant III compressione con sovrapposto gambaletto II compressione terapeutica).
Prescrizione di attrezzature per terapie domiciliari :
Per il mantenimento dei risultati ottenuti con il ciclo intensivo di terapia è fondamentale, previa preparazione del paziente, un mantenimento terapeutico domiciliare sotto forma di esercizio fisico programmato e personalizzato, abbinato all’utilizzo di pressoterapia sequenziale secondo la prescrizione dei tempi e delle intensità proposte dallo specialista che segue il caso. Per i costi delle attrezzature provvede il SSN per gli invalidi con almeno il 67% di invalidità.
7) Visite mediche ed accertamenti clinico strumentali :
Per il controllo della patologia cronica è fondamentale il monitoraggio costante, clinico e strumentale, del paziente. E’ auspicabile almeno un controllo clinico-strumentale annuale e l’inserimento in urgenza per una visita specialistica (possibilmente presso la struttura che segue nel tempo il paziente), in caso di complicanza dermatolinfangioadenitica o linfangitica o erisipela.
Una volta che il paziente viene iscritto nel registro della patologia specifica ha diritto all’esenzione del pagamento del Ticket per le seguenti visite specialistiche: angiologia, fisiatria, chirurgia generale, chirurgia vascolare ed oncologia ( quest’ultima visita specialistica è ovviamente subordinata alla forma di linfedema da cui è interessato il singolo caso).
Tra gli esami strumentali l’esenzione è estensibile a :
Linfoscintigrafie successive alla prima da eseguire secondo giudizio specialistico
Ecodoppler degli arti con associato studio ecografico ad alta risoluzione dei tessuti interessati nei controlli di monitoraggio annuali.
Assistenza scolastica e Legge 104 :
Per la regolamentazione di questi due aspetti specifici ci si avvale delle stesse norme previste per le altre patologie croniche che comportino disabilità (insegnante di sostegno nell’infanzia – forme primarie), con i conseguenti benefici della Legge 104 per i familiari. Il tutto dopo il riconoscimento e l’iscrizione nell’apposito registro A.S.L..
9) Trattamenti all’estero :
Il disagio economico (trasferta con familiari, etc.) ‘sopportato’ per anni da pazienti di varie regioni, che ha comportato, peraltro, lo storno di risorse economiche del sistema sanitario nazionale a favore di altri paesi, oggi è possibile evitarlo nella stragrande maggioranza dei casi. La cultura linfologia è enormemente cresciuta in Italia negli ultimi anni (e questo viene anche riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale) ed ha consentito di realizzare un microcosmo diffuso di realtà distribuite sul territorio nazionale, tali da assicurare una assistenza adeguata, anche se ulteriormente migliorabile. Ne dovrebbe derivare la riduzione al minimo dei ‘viaggi della speranza all’estero’ tanto diffusi nei decenni passati anche per questa patologia grazie ad un maggiore e rigoroso controllo delle autorizzazioni da parte degli organi di controllo preposti.
10) Criteri di valutazione della disabilità :
La disabilità da linfedema è complessa da descrivere in quanto coinvolge spesso aspetti della vita somatica, psicologica, sessuale, relazionale e sociale; per questi motivi si ritiene che la descrizione del singolo caso clinico (sia primario che secondario), non possa basarsi sulle comuni scale usate per le patologie neurologiche od ortopediche (Barthel, FIM) debba essere effettuata mediante l’utilizzo dell’ International Classification of Functioning, completa, universalmente accettata ai nostri giorni e già largamente impiegata nella pratica clinica.
11) Criteri di valutazione del beneficio del trattamento :
Per testimoniare (anche sui documenti ufficiali compilati nei singoli regimi assistenziali dal sanitario e dal personale FKT ed infermieristico che lavorano in TEAM) l’efficacia del trattamento effettuato riportare nei controlli successivi i seguenti aspetti relativi al singolo caso clinico :
- Esame clinico con rilevazione delle misure dell’arto in comparazione con il controlaterale e rapportata al peso corporeo.
- Esami strumentali (ecodoppler con ecografia ad alta risoluzione dei tessuti molli)
- Questionario sulla qualità della vita SF36 o altro strumento validato.
12) Associazioni di Volontariato
E’ auspicabile che vengano incentivate sul territorio le varie forme di assistenza organizzate dalle Associazioni di volontariato (principalmente sorte in difesa dei pazienti affetti da forme secondarie di linfedema); il loro contributo va inteso in sinergia con l’azione dei presidi pubblici o privati convenzionati ed in collaborazione con gli stessi.
Quanto sopra nel tentativo di giungere ad una razionalizzazione delle risorse pubbliche disponibili con reale beneficio dei pazienti e controllo dell’evoluzione della malattia nel tempo, oltre che fornire delle chiarificazioni di ‘indirizzo’ alle tante realtà che quotidianamente operano sul territorio, spesso in condizioni non estremamente favorevoli, nei confronti di tali patologie.
FLOW CHART
LINFEDEMA PRIMARIO O SECONDARIO
Diagnosi clinica e Linfoscintigrafica Operatori di provata esperienza
Iscrizione in apposito registro A.S.L. di appartenenza Regione Ministero Salute
Terapie mediche fisiche e chirurgiche in Centri Specializzati Vedi caratteristiche del Centro
Indumento Elastico definitivo Compartecipazione SSN
Programma terapeutico di mantenimento comprensivo di apparecchiature Compartecipazione SSN
Monitoraggio costante
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LAVORO AGGIORNATO AL 30 DICEMBRE 2007.
*salvo approvazione Ministero Salute.
Caratteristiche del Centro
- Linfologi di provata esperienza (Letteratura e/o Formazione)
- Personale FKT di provata esperienza ed opportuna formazione
- Psicologo
- Assistente Sociale
- Tecnico Ortopedico
- Attrezzature e spazi idonei
- Personale per Terapia occupazionale
2 – Pressoterapia a pressione uniforme peristaltico-sequenziale. La pressoterapia solitamente consiste in un programma di 3 fasi: trattamento delle stazioni linfonodali prossimali dell’arto, per la preparazione delle stesse e per evitarne l’ingorgo (possibile causa di fibrosi reattiva); terapia compressiva a pressioni adeguate a seconda dello stadio clinico della malattia; applicazione di un tutore elastico (calza, bracciale o bendaggio multistrato); indicazioni parziali/totali : insufficienza cardiaca – ipertensione arteriosa (incrementi polemici importanti in tempi brevi).
3 – Linfodrenaggio manuale. Viene eseguito per lo più seguendo le metodiche classiche delle scuole tedesca e belga. A seconda dei casi le diverse tecniche di linfodrenaggio manuale possono essere combinate. Non deve essere praticato in modo eccessivamente vigoroso per evitare possibili danni alle strutture linfatico-linfonodali. In alcune regioni corporee rappresenta l’unico presidio terapeutico fisico applicabile (es.: volto, regioni genitali).
4 – Bendaggio dell’arto affetto. Effettuato con materiali fondamentalmente anelatici o ipo-elastici, avvolti attorno all’arto in assenza di trazione, in multistrato. L’esercizio fisico delle principali pompe muscolari dell’arto abbinato al bendaggio (Working-pressure) comporta un importante riassorbimento sia della quota idrica che proteica dell’edema linfatico
B) Terapia farmacologica
1 – Benzopironi (b.): comprendono la Cumarina e derivati (alfa-b.) e i
Bioflavonoidi e derivati (gamma-b. – Diosmina, Rutina, Esperidina, Quercitina, ecc.).
L’attività degli alfa-b. consiste in:
•Incremento tono capillare
• Diminuzione della permeabilità capillarealle proteine
• Aumento numerico dei macrofagi
• Attivazione della loro attività proteolitica
• Stimolazione attività propulsiva del linfangione
• Inibizione della sintesi delle Prostaglandine e
dei Leucotrieni
Pertanto, gli effetti sono:
• Riassorbimento del fluido interstiziale
• Graduale regressione della fibrosi favorita dalla proteolisi macrofagica
• Riduzione dello stimolo infiammatorio cronico con conseguente minori incidenza degli episodi
acuti e minore tendenza alla fibrotizzazionedell’edema.
Le Cumarine naturali, da somministrare a dosaggi di 8 mg/die per 60 giorni, hanno dimostrato una efficacia terapeutica nel miglioramento della sintomatologia soggettiva, del recupero funzionale dell’arto linfedematoso, riduzione della consistenza dell’edema, potenziamento della riduzione del volume in eccesso ottenuta dopo trattamento fisico e/o microchirurgico, senza determinare alcun effetto tossico sul fegato.
Le azioni dei gamma-b. comprendono:
•Riduzione di permeabilità dell’endotelio alle macromolecole proteiche
• Riduzione della filtrazione capillare
• Aumento del tono venulare
Per cui, gli effetti sono:
•Azione stabilizzante sul connetivo interstiziale e sulla parete capillare.
• Inibizione della produzione delle prostaglandine e dei leucotrieni.
2 – Antibiotici: Vengono utilizzati in fase acuta (terapia per lo streptococco B-emolitico), per il trattamento delle dermato-linfangio-adeniti (DLA), e a scopo preventivo per la
profilassi degli episodi di linfangite acuta (penicillina ad azione protratta).
3 – Antimicotici: per il trattamento delle infezioni fungine delle estremità (fluconazolo, ecc.).
4 – Dietilcarbamazina: per l’eliminazione della microfilaria dal circolo sanguigno nei pazienti affetti da linfedema su base parassitaria e per i portatori sani.
5 – Diuretici: solitamente a basso dosaggio e per brevi periodi di trattamento, in particolare nei quadri di linfedema associato a flebedema o altre patologie quali cardiopatie, nefropatie, ascite, patologie dei vasi chiliferi, ecc.Non rimuovendo la componente proteica interstiziale dell’edema, non si rivelano etiologici ma esclusivamente sintomatici.
6 – Proteasi: in grado di ridurre le macromolecole proteiche interstiziali a macromolecole, più facilmente riassorbibili e trasportabili dal sistema linfatico.
7 – Dieta: in pazienti obesi, la riduzione dell’apporto calorico, in associazione ad un idoneo programma di attività fisica, ha una sua specifica efficacia nella riduzione del volume dell’arto linfedematoso. Non è stata dimostrata la validità di un apporto limitato di liquidi. Nelle sindromi con reflusso chioso, una dieta a basso contenuto di lipidi e con l’assunzione esclusivamente di trigliceridi a catena media (medium chain triglicerides – MCT), che vengono assorbiti attraverso il circolo portale, non andando a sovraccaricare il sistema dei vasi chiliferi, è risultata estremamente efficace, anche in età pediatrica.
Esiste, pertanto, una vasta gamma di principi terapeutici farmacologici.
La scelta è basata sugli aspetti etiopatogenetici e fisiopatologici di ciascun tipo di linfedema.
8 – Impiego di fattori di crescita endoteliale specifici per il linfedema (VEGF-C e VEGF-D) ancora in fase di studio ed in attesa di verifiche finali sia per le forme primarie che secondarie.
C) Sostegno psico-sociale
Il sostegno psicosociale accompagnato da un programma di valutazione e miglioramento della qualità di vita dei malati affetti da linfedema, rappresenta una componente integrante fondamentale di qualsiasi tipo di trattamento della malattia.
Definizione:
E’ importante utilizzare le diverse metodiche terapeutiche non chirurgiche in modo combinato ed integrato, a seconda del singolo caso e dello stadio clinico del linfedema, personalizzando il tipo di trattamento in ogni singolo caso clinico.
Assolutamente da proscrivere i cicli di ‘monoterapia’. Grado B (escluso punto 8).
Le tecniche chirurgiche impiegate in passato per la cura dei linfedemi miravano alla riduzione volumetrica degli arti mediante interventi di tipo demolitivo-resettivo (cutolipofascectomia, linfangectomia totale superficiale, intervento di Thompson, ecc.). Si trattava, pertanto, di soluzioni di natura sintomatica che, non rimuovevano la causa dell’ostruzione al flusso linfatico, fornivano una temporanea riduzione dell’edema, attraverso lunghi periodi di degenza ospedaliera, frequenti infezioni e ritardate guarigioni delle ferite, perdita della sensibilità, edema residuo e ingravescente della caviglia e del piede, ampie cicatrici retraenti deturpanti.
L’avvento della Microchirurgia ha consentito di studiare e realizzare soluzioni terapeutiche funzionali e causali del linfedema con lo scopo di drenare il flusso linfatico o di ricostruire le vie linfatiche ove ostruite o mancanti mediante tecniche fini, riparatrici, intervenendo direttamente sulle strutture linfatiche stesse. Le tecniche microchirurgiche hanno fornito risultati positivi e duraturi nel tempo sia per il trattamento di linfedemi primari, compresi quelli in età pediatrica, che secondari ad interventi di tipo oncologico, che comportano l’exeresi linfonodale in sedi “critiche” quali l’ascella e l’inguine. I primi approcci diretti sulle strutture linfatico-linfonodali sono stati realizzati mediante la metodica di legature antigravitazionali multiple dei collettori linfatici e chiliferi incompetenti secondo Servelle e Tosatti, nei casi di linfochiledema da reflusso gravitazionale, e l’intervento di Kinmonth (“bridge operation”), che consiste nell’anastomosi tra i linfonodi iliaco-inguinale ed un segmento intestinale ileale, con il suo peduncolo mesenterico, privato della mucosa. Ma il progresso delle apparecchiature, dello strumentario e delle tecniche ha portato ad individuare due gruppi di metodiche microchirurgiche, per la terapia chirurgica “conservativa e funzionale” del linfedema, distinte in derivative e ricostruttive. Le tecniche derivative mirano al ripristino del flusso linfatico nella sede dell’ostruzione mediante la realizzazione di un drenaggio linfo-venoso, con l’impiego dei linfonodi o direttamente dei linfatici: Anastomosi Linfonodo-Venosa (LNVA), Anastomosi Linfatico-Capsulo-Venosa (LCVA), Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Terminali (EE-LVA), Anastomosi Linfatico-Venose Termino-Laterali (ES-LVA). Le tecniche più recentemente e comunemente impiegate sono le anastomosi linfatico-venose multiple, termino-terminali o termino-laterali, realizzate direttamente utilizzando vene principali o collaterali delle stesse, a seconda della situazione anatomica riscontrata al momento dell’intervento, ed eseguite al 1/3 medio della superficie volare del braccio, per l’arto superiore, ed in regione inguino-crurale, per l’arto inferiore. Le tecniche microchirurgiche ricostruttive consentono di ripristinare una continuità di flusso del circolo linfatico, superando la sede del blocco anastomizzando direttamente i vasi linfatici afferenti ed efferenti o mediante l’impianto di segmenti autologhi linfatici o venosi tra i collettori a valle e a monte dell’ostacolo: Anastomosi Linfatico-Linfatica (LLA), Autotrapianto Segmentale di Linfatico (SLAT), Linfatico-Veno-Linfatico-Plastica o Anastomosi Linfatico-Veno-Linfatiche (LVLA), Lembi liberi linfatico-linfonodali (FLF). La tecnica di LVLA consente di operare anche linfedemi bilaterali e non presenta il rischio di determinare un linfedema iatrogeno nella sede del prelievo, così come si potrebbe verificare, invece, con il prelievo di una struttura linfatico-linfonodale.
Le indicazioni alle varie tecniche di Microchirurgia Linfatica si basano sulla presenza di un valido gradiente pressorio linfatico-venoso nell’arto interessato. Nei casi in cui alla patologia linfostatica si associ un’insufficienza venosa (situazione di prevalente riscontro agli arti inferiori: varici, ipertensione venosa, incontinenza valvolare), le metodiche derivative sono controindicate, mentre devono essere impiegate le tecniche microchirurgiche ricostruttive.
“Le indicazioni per la terapia chirurgica del linfedema sono rappresentate essenzialmente dalla evidenza di una risposta insufficiente e, per il paziente, insoddisfacente ai trattamenti di tipo medico, fisico e riabilitativo, espletati dagli specialisti di settore, nelle sedi di riconosciuta e qualificata competenza in materia, nell’arco di tempo intercorso, a decorrere dalla diagnosi della malattia e dall’inizio di tali trattamenti, possibilmente non superiore a 6-12 mesi al massimo.
Infatti è dimostrato che la progressione della malattia dal II al III stadio rappresenta il “timimg” idealmente condiviso dalla Comunità Scientifica di Linfologia, allo scopo di evitare alterazioni anatomo-istopatologiche, morfologiche, funzionali e cliniche, gradatamente sempre più irreversibili nella loro evolutività e, pertanto, sempre più inesorabilmente invalidanti.
Il trattamento chirurgico deve innanzitutto, quindi, mirare al recupero più efficace e duraturo possibile, nell’arco della vita del soggetto affetto da linfedema, della funzione di drenaggio del circolo linfatico e, conseguentemente, al ripristino, quanto meno parziale, ma clinicamente significativo, del flusso della linfa, nella sede in cui la idonea valutazione clinico-strumentale preliminare abbia posto in evidenza un ostacolo meccanico di varia natura, a seconda della variabile tipologia della malattia (linfedemi primari e secondari).
E’, altresì, ampiamente dimostrato che i risultati migliori con la microchirurgia linfatica si ottengono negli stadi più precoci della patologia linfostatica (II e III stadio), come risulta da significativi studi di “follow-up” effettuati su centinaia di pazienti, trattati e controllati da un minimo di 5 anni sino ad oltre 15 anni dall’intervento (raccomandazione di Grado B).
Nei casi in cui lo stadio della malattia risulta molto avanzato (Elefantiasi propriamente detta), possono di volta in volta essere presi in considerazione anche interventi chirurgici di tipo exeretico-riduttivo, di significato complementare sintomatico e, talora, soprattutto nel c.d.”grosso braccio inveterato post-mastectomia, con abbondante componente tissutale adiposa”, la rimozione delle sacche di tessuto grasso fibro-sclerotico sovrabbondante mediante il ricorso a tecniche di liposuzione.
Nei casi poi di più raro riscontro, ma anche più complessi, di patologia linfostatica da Reflusso Gravitazionale linfatico e/o chiloso, coinvolgenti oltre agli arti (soprattutto inferiori) anche i genitali esterni, la cavità addominale (con l’intestino) e, talora, anche la toracica, l’approccio terapeutico sempre combinato, medico- dietetico, fisico-riabilitativo e chirurgico, richiede specifiche competenze pluri-ed ultraspecialistcihe, fermo restando che, in ogni caso, la terapia chirurgica del linfedema può essere oggi effettuata soltanto in Centri di riconosciuta e provata esperienza in materia, di cui esistano inequivocabili riferimenti nella Letteratura Medica Basata sulle Evidenze.
Va, infine, specificato il concetto secondo il quale la terapia chirurgica del linfedema deve essere considerata non come una mera soluzione alternativa al fallimento dei trattamenti non chirurgici, ma come una utile integrazione degli stessi, nell’ottica moderna di un approccio terapeutico combinato, globalmente inteso, del malato affetto da linfedema, che deve essere multimodale, medico-fisico-riabilitativo e, ove necessario, ovviamente, anche chirurgico, per il
Definizione: Le tecniche chirurgiche tradizionali di tipo demolitivo-resettivo sono riservate ai casi in cui sia necessario asportare tessuto cutaneo e sottocutaneo sovrabbondante dopo aver ottenuto la marcata riduzione del linfedema mediante le metodiche fisiche combinate e/o microchirurgiche. Le procedure microchirurgiche sono molto vantaggiose soprattutto negli stadi più precoci della malattia, per i quali la Microchirurgia è capace di fornire, grazie al ripristino di vie di drenaggio linfatico preferenziali dell’arto colpito, risultati che possono raggiungere anche la guarigione. L’efficacia a lungo termine delle anastomosi linfatico-venose risulta dipendere essenzialmente dal rigore della tecnica microchirurgica adottata (indispensabile è l’impiego del microscopio operatore) e dallo stadio della patologia. Grado B.
Le possibilità di prevenzione del linfedema secondario al trattamento di tumori maligni mediante chirurgia e/o radioterapia vengono offerte oggi, soprattutto, dalla linfoscintigrafia, che consente di studiare, preliminarmente all’intervento per la patologia tumorale, oppure subito dopo, l’assetto anatomo-funzionale del circolo linfatico dell’arto o degli arti interessati. L’esame rende così possibile individuare categorie di pazienti a rischio (basso, medio ed elevato) per la comparsa del linfedema secondario. A questi possono conseguentemente essere applicati in prima istanza, e non tardivamente, i provvedimenti terapeutici da caso a caso ritenuti più idonei, a seconda dell’entità del danno individuato a carico del circolo linfatico. L’esame deve essere eseguito mediante iniezione di radiotracciante nelle pliche interdigitali alla radice degli arti, a livello sottocutaneo (non intradermico), onde evitare ‘fughe’ di tracciante e conseguentemente ‘falsi positivi’ dell’esame stesso.
Il protocollo di prevenzione del linfedema secondario al trattamento del carcinoma mammario realizzato dalla Società Italiana di Linfangiologia comprende criteri clinici e linfoscintigrafici sulla base dei quali sono state stabilite procedure preventive da attuare pre-, per- e post-operatoriamente, compresa la possibilità di eseguire le anastomosi microchirurgiche linfatico-venose direttamente durante la fase di dissezione linfonodale ascellare. Inoltre l’esame linfoscintigrafico eseguito in consanguigni di pazienti con linfedema primario o, in pazienti sottoposti a trattamento radicale oncologico di linfadenectomia alla radice dell’arto o a radioterapia complementare, che non presentino entrambi edemi negli arti interessati, può evidenziare difficoltà di progressione del radiotracciante (presenza di stop linfonodali lungo l’arto normalmente non visualizzabili) che testimoniano la tendenza allo sviluppo della patologia (stadi preclinici).
Definizione: Esistono oggi concrete possibilità di prevenzione del linfedema dell’arto superiore secondario al trattamento di un carcinoma mammario, applicando un protocollo di prevenzione basato sia su criteri clinici che sull’esame linfoscintigrafico. Grado B.
Le displasie linfatiche associate a difetti vascolari vengono definite malformazioni emolinfatiche. Secondo la classificazione di Amburgo (1988), le malformazioni vascolari vengono suddivise a seconda della prevalente componente arteriosa, venosa, linfatica, da shunts A-V o combinate. Ciascuno di questi quadri viene distinto rispettivamente in forma tronculare ed extratronculare, a seconda dell’epoca e della sede di comparsa del difetto embrionale.
Per quanto concerne le malformazioni linfatiche, tra le forme extratronculari (limitate o diffuse) sono classicamente definite linfangiomi o linfangiomatosi. Quelle tronculari, che interessano i vasi principali (aplasia, ipoplasia, dilatazioni o iperplasia), possono determinare linfedema.
Le malformazioni linfatiche, inoltre, possono associarsi a sindromi (s.) osteodistrofiche: s. angioosteipertrofiche (con allungamento dei segmenti ossei) o angioosteoipotrofiche (con accorciamento dei segmenti ossei).
L’iter diagnostico deve essere completo ed integrato, con lo studio della componente arteriosa, venosa e linfatica. La TC e la RM sono utili per la definizione della estensione e dei rapporti della malformazione.
Il trattamento comprende metodiche conservative medico-fisiche, nei casi più lievi. La terapia chirurgica è rappresentata dalle tecniche di microchirurgia linfatica derivativa o ricostruttiva, exeresi dei tessuti maggiormente colpiti dalla displasia, legature antigravitazionali dei collettori linfatici incompetenti. In alternativa o in associazione alla chirurgia esistono possibilità di trattamento mediante sclerotizzazione per cutanea delle aree malformate linfangiomatose e linfangectasiche e/o embolizzazione delle FAV.
Definizione: Le malformazioni emolinfatiche sono difetti vascolari rari, ma molto complessi. Il loro inquadramento nosografico segue la classificazione di Amburgo. L’iter diagnostico deve essere completo ed integrato, rivolto alle componenti arteriosa, venosa e linfatica. TC e RM completano la definizione della estensione e dei rapporti della malformazione. La terapia comprende metodiche conservative, chirurgiche, scleroterapiche e l’embolizzazione per cutanea,
variamente associate tra loro sulla guida degli specifici aspetti fisiopatologici alla base di ogni singolo caso. Grado C.
Recentemente sono stati condotti studi mediante linfoscintigrafia condotta su neonati di quadri clinici complessi di idrope per lo studio della possibile origine linfatica della malformazione. Il compito dei Rianimatori in questi casi è quello di effettuare una valutazione primaria con relativo trattamento dei problemi respiratori e cardio-circolatori di volta in volta riscontrati, per assicurare possibilmente la sopravvivenza del neonato, sino ad arrivare ad una valutazione secondaria più accurata ed al trattamento definitivo. Proprio nel contesto della valutazione secondaria si inserisce anche lo studio della circolazione linfatica, mediante linfoscintigrafia, in quanto dal punto fisiopatologico se un’idrope non è correlata a cardiopatia congestizia o a diminuzione della pressione osmotica del plasma ed aumento della filtrazione capillare, può essere dovuta a malformazioni linfatiche (chilotorace, ascite chiosa, linfedema, ecc.).
Definizione: Nella valutazione di un neonato con idrope, dopo averlo assistito dal punto di vista delle funzioni vitali, tra le cause dell’idrope va considerata anche la circolazione linfatica, che viene oggi agevolmente studiata mediante linfoscintigrafia. Grado C.
Tra le prospettive future, vi è la possibilità di prevenire il linfedema primario, in particolare nelle forme congenite a manifestazione eredito-familiare. Nei membri di una famiglia che presenta le stigmate di una sindrome linfangiodisplasica ereditaria, le possibilità di prevenzione del linfedema si basano sull’impiego di metodiche diagnostiche, quali la linfoscintigrafia ed il laser-doppler, capaci di fornire parametri morfologico-funzionali, diretti ed indiretti, sulla circolazione linfatica degli arti, rivelando eventuali alterazioni del drenaggio linfatico ancor prima della comparsa clinica dell’edema. Tale stadio “latente” del linfedema consente di individuare i pazienti a rischio che verranno, quindi, sottoposti a trattamento medico-fisico preventivo. Di notevole importanza sono a questo riguardo gli studi di genetica e di biologia molecolare attualmente in corso. Si stanno, infine, portando avanti ricerche sulle possibilità di applicazione clinica della terapia genica per il trattamento del linfedema primario.
DECISIONI OPERATIVE
Il Linfedema, sia nelle sue forme primarie che secondarie, rappresenta una patologia disabilitante cronica in costante crescita nella popolazione italiana. Gli studi epidemiologici stimavano circa 40.000 nuovi casi annui di cui il 15% (circa 6.000 casi) evolventi negli stadi clinici più avanzati con conseguente disabilità grave.
L’elevata incidenza della patologia impone la definizione di alcune regole fondamentali che consentano di assicurare una assistenza adeguata sul territorio (attualmente frammentaria, insufficiente e disergonomica), qualificata e svolta in maniera capillare così da evitare il fenomeno della ‘migrazione sanitaria’, ancor più nocivo dal punto di vista economico sia per il paziente che per la collettività.
Oggi accade infatti, troppo frequentemente, che per il trattamento il paziente si rivolga al di fuori della sua regione, se non addirittura all’estero, con costi e disagi assolutamente evitabili nella maggior parte dei casi.
REGOLE
1) Inquadramento nosologico
Il linfedema deve essere considerato come una patologia vascolare e non dermatologica come è attualmente inquadrata, con le relative ripercussioni a cascata anche sulla significatività dei corrispondenti codici del nomenclatore (457.0, 457.1 e 457.2) sui D.R.G. corrispondenti, scarsamente remunerativi in rapporto alle necessità assistenziali richieste nei singoli casi. A supporto dell’asserzione è sufficiente ricordare la diversa origine embriologica delle strutture linfatiche rispetto a quelle cutanee.
2) Definizione della diagnosi di linfedema
Il linfedema primario o secondario presenta delle caratteristiche anamnestiche, cliniche ed obiettive ben specifiche, difficilmente confondibili; tuttavia esistono alcuni casi (frequenti) in cui è possibile incorrere nell’errore diagnostico; si tratta delle forme miste di flebolinfedema (in cui la linfostasi si associa ad importante patologia venosa), delle forme associate a Lipedema (in cui l’aumento volumetrico dell’arto, come noto, è determinato dall’incremento di acqua presente all’interno delle cellule adipose disposte localmente, e quindi non ‘drenabile’ dalle comuni tecniche decongestive e non correggibile dal punto di vista farmacologico o chirurgico (se non con la liposuzione); esistono poi anche forme di edema iatrogeno (da farmaci, da incongruo uso di protesi od ortesi, etc).
In questo contesto per evitare un possibile abuso di riconoscimento di casi della malattia si ritiene opportuno che sia le forme primarie che secondarie di Linfedema vengano riconosciute, oltre che con l’indicazione degli aspetti clinici, anche mediante l’esecuzione da parte del soggetto di un esame linfoscintigrafico (gold-standard diagnostico secondo le linee guida internazionali) che comprovi il difetto di progressione e della capacità di trasporto del sistema linfatico della regione anatomica interessata.
Nelle forme primarie è auspicabile che lo stesso esame venga eseguito dai consanguinei del paziente interessato per realizzare una vera ‘prevenzione primaria’. L’esecuzione dell’esame, a scopo preventivo, deve essere certificata dallo specialista di riconosciuta esperienza.
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Linee Guida – Ebm sulla diagnosi e terapia del Linfedema inviate al vaglio del Ministero della Salute dal prof. Sandro Michelini (attivo presso l’ospedale S.Giovanni Battista- Ord. Cavalieri di Malta- di Roma zona Magliana)
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Vi inoltro la mail appena indirizzata ai 3 funzionari ministeriali (********************
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Un cordiale saluto ed ancora un augurio di un felicissimo 2008 a voi tutti.
prof.Sandro Michelini
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Ministero della Salute
Commissione sulle : “LINEE GUIDA – EBM SULLA DIAGNOSI E TERAPIA DEL LINFEDEMA”
BASATE SULLE EVIDENZE
(Informazioni metodologicamente valide aggiornate dalla letteratura medica)
Le Linee Guida sono suscettibili di continui aggiornamenti, specificazioni e nuove indicazioni secondo il principio, riconosciuto in ambito scientifico internazionale, che tali documenti si configurano come ‘Living Guidelines’.
Definizione di Linfedema : Per Linfedema si intende un edema ad elevata concentrazione proteica interstiziale determinato da una ridotta capacità di trasporto linfatico, congenita o acquisita.
Nell’introduzione degli articoli sul linfedema si afferma spesso, in maniera del tutto fuorviante, che non sia chiara la fisiopatologia della malattia, né sia soddisfacente il relativo trattamento. Eppure, benché i dettagli patogenetici siano ancora una questione aperta, i principi generali della fisiopatologia del linfedema sono ben conosciuti.
Da un lato, il disturbo centrale può essere rappresentato da una “insufficienza a bassa portata (low output failure)” del sistema linfatico: si ha, cioè, una riduzione generale del trasporto linfatico. Un’alterazione di questo tipo può essere causata da displasia linfatica congenita – linfedema primario – oppure da obliterazione anatomica, quale quella che si ha a seguito di resezione chirurgica radicale (ad esempio, nel caso di dissezione linfonodale ascellare, iliaco-inguinale o retroperitoneale), a seguito di ripetute linfangiti con linfangiosclerosi o quale conseguenza di insufficienza funzionale (ad esempio, linfangiospasmo, paralisi ed insufficienza valvolare – linfedema secondario. Comunque, il denominatore comune è il fatto che il trasporto linfatico scende al di sotto della capacità necessaria a gestire il carico presente di filtrato microvascolare, comprendente proteine plasmatiche e cellule, che normalmente dal circolo ematico entrano nell’interstizio.
Dall’altro lato, la “insufficienza ad alta portata (high output failure)” della circolazione linfatica si ha quando una capacità di trasporto normale oppure aumentata è sopraffatta da un eccessivo carico di filtrato ematico capillare: ad esempio, la cirrosi epatica (ascite), la sindrome nefrosica (anasarca) e l’insufficienza venosa profonda degli arti inferiori (sindrome post-tromboflebitica).
Il mancato controllo del linfedema può portare a ripetute infezioni(dermatolinfangioadeniti – DLA), a progressive alterazioni trofiche cutanee di tipo pachidermitico e, in rari casi, persino allo sviluppo di un agniosarcome, patologia altamente letale (sindrome di Steward-Treves).
I dati ricavabili dalla Letteratura internazionale, corrispondenti a quelli ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (1994), riportano un’incidenza del linfedema nel mondo pari a 140 milioni di casi (circa una persona ogni 20). Quasi la metà dei linfedemi è di origine primaria, caratterizzati da una base congenita linfangioadenodisplasica. Altri 40 milioni sono di origine parassitaria (le forme più frequenti sono rappresentate dall’infestazione da Filaria Bancrofti), particolarmnete presenti nelle aree tropicali e subtropicali (India, Brasile, Sud-Africa). Altri 20 milioni sono post-chirurgici e specialmente secondari al trattamento del carcinoma mammario. Gli altri 10 milioni sono essenzialmente causati da problemi funzionali di sovraccarico del circolo linfatico (particolarmente, in esiti di flebotrombosi profonda dell’arto inferiore ed anche nella c.d. sindrome di Mayall, da iperstomia artero-venosa per iperlinfogenesi).
Per quanto concerne la situazione italiana, da studi epidemiologici nazionali i linfedemi secondari risultano più frequenti rispetto ai primari. Le forme secondarie sono in costante incremento in considerazione della maggior precocità della diagnosi e di intervento nelle patologie neoplastiche (che da un lato hanno aumentato la quantità di vita di questi pazienti e dall’altro ne ha evidenziato un incremento delle complicanze dovute ai criteri di radicalità terapeutica oncologica, prima fra tutte il linfedema). La localizzazione agli arti superiori riconosce quasi sempre la natura secondaria, mentre agli arti inferiori si riscontrano per lo più linfedemi primari. Il sesso più interessato è quello femminile e l’età più colpita corrisponde alla II – III decade di vita per le forme primarie, V – VII per quelle secondarie. L’incidenza della linfangite, clinicamente più o meno manifesta, come complicanza della linfostasi, è elevata a tal punto da richiedere, in alcuni casi, un trattamento antibiotico protratto, sia a scopo terapeutico che profilattico. Da uno studio epidemiologico condotto dalla Società Italiana di Linfangiologia si calcola che in Italia si sviluppino circa 40.000 nuovi casi annui di linfedema di cui il 15% circa evolve verso gli stadi clinici più avanzati. In quasi tutti i linfedemi primari degli arti inferiori si è potuto constatare la presenza di alterazioni linfangioadenodisplasiche con ipoplasia e fibrosclerosi linfonodale inguino-crurale nel 93% dei casi e con reflusso gravitazionale linfatico-chiloso, anche ai genitali esterni, per incontinenza valvolare dei collettori ectasici ed insufficienti nel restante 7%. La manifestazione clinica di tali forme di linfedema è stata più frequentemente spontanea, senza causa apparente, ed in alcuni casi, invece, conseguente a linfangiti o trauma. Per quanto riguarda la localizzazione agli arti superiori, si è quasi sempre (98%) trattati di forme secondarie a linfoadenectomia ascellare e/o radioterapia per il trattamento del carcinoma mammario, mentre nel 2% dei casi, il linfedema all’arto superiore è stato conseguenza dell’asportazione di lipomi in sede ascellare, di biopsie linfonodali ascellari, di radioterapia axillo-sovraclaveare per linfoma o melanoma o, in alcuni casi, per ipogenesia linfonodale ascellare (sia nel sesso femminile che maschile). Agli arti inferiori, il riscontro più frequente è stato il linfedema secondario al trattamento del carcinoma della cervice uterina (46%), quindi, i linfedemi conseguenti ad interventi urologici (39%) di tipo oncologico (carcinoma prostatico, penieno, seminoma testicolare), al trattamento di melanomi (6%), linfoma di Hodgkin (3%) ed anche all’asportazione di lipomi della coscia (3%), ad interventi per varici (2%) e per ernia inguinale o crurale (1%).
Un altro dato importante scaturito dalla valutazione di circa 200 donne affette da linfedema dell’arto superiore secondario a trattamento per carcinoma mammario è quello della comparsa del linfedema nel 20-25% delle donne sottoposte a mastectomia o quadrantectomia con linfoadenectomia ascellare, sino al 35% con l’associazione della radioterapia. Tali dati corrispondono a quelli trovati nella Letteratura internazionale. Ma, soprattutto, è opportuno sottolineare l’importanza, data l’elevata incidenza del linfedema secondario, delle possibilità di prevenzione della patologia linfostatica, sia in termini di diagnosi precoce che di trattamento tempestivo. Tutto ciò non solo in considerazione dei pesanti risvolti psicologico-sociali e dell’invalidità fisica correlati a tale patologia, ma anche della possibilità di prevenzione delle gravi e frequenti complicanze linfangitiche e, specialmente, del probabile, seppur raro, impianto di un linfangiosarcoma su un linfedema secondario.
Classificazione Etiologica.
I linfedemi vengono generalmente suddivisi in primari o congeniti e acquisiti o secondari.
I linfedemi primari sono ulteriormente distinti in connatali, cioè presenti già alla nascita, oppure a manifestazione precoce, se compaiono prima dei 25 anni, o tardiva, se si manifestano dopo i 25 anni. Tra i connatali si distinguono le forme sporadiche da quelle eredo-familiari, che per lo più possono essere inquadrate in sindromi malformative più o meno complesse, correlate o meno a specifiche alterazioni genetiche. Per l’identificazione del tipo di displasia che sta alla base delle diverse forme di linfedema congenito, si segue la classificazione di C.Papendieck: LAD I (linfangiodisplasia – displasia dei vasi linfatici), LAD II (linfadenodisplasia – displasia dei linfonodi), LAAD (linfangioadenodisplasia – displasia dei linfatici e dei linfonodi). Nel termine displasia si include: agenesia, ipoplasia , iperplasia, fibrosi, linfangiomatosi, amartomatosi, insufficienza valvolare.
I linfedemi secondari possono essere distinti in post-chirurgici, post-attinici, post-traumatici, post-linfangitici e parassitari.
Definizione: Nei linfedemi secondari, in particolare per le forme post-traumatiche, post-linfangitiche, ma anche per quelle conseguenti a chirurgia e/o radioterapia, si riscontra quasi sempre una predisposizione costituzionale (displasia linfatico e/o linfonodale congenita). Grado B.
Classificazione Clinica.
La Classificazione clinica seguita nella pratica, analogamente a quanto avviene per le patologie venose è la CEAP-L (Clinical Ethiological Anatomical Physiopathological – Lymphatic) (vedi allegato).
Generalmente, per la stadiazione dei linfedemi ci si affida ad un sistema suddiviso in 3 stadi, anche se il II e il III possono essere a loro volta suddivisi in due sottostadi, configurandosi così una stadiazione in 5 stadi. Tale stadiazione comprende sia i linfedemi primari che quelli secondari, i linfedemi già clinicamente manifesti e quelli subclinici, nei quali adeguate indagini diagnostiche consentono di individuare precocemente una iniziale alterazione circolatoria linfatica, e l’evoluzione clinica della malattia, prescindendo dalla natura del linfedema.
La stadiazione del linfedema si basa su criteri clinici e diagnostico-strumentali: entità dell’edema, andamento clinico della malattia durante l’arco della giornata e con il variare del decubito, numero ed entità delle complicanze linfangitiche, consistenza dell’edema e alterazioni cutanee correlate alla malattia.
Lo stadio I A, che comprende gli individui già sottoposti ad interventi chirurgici a rischio per la comparsa di stasi linfatica nell’arto omolaterale alla patologia primaria (ad esempio, l’arto superiore omolaterale alla sede del trattamento chirurgico e/o radioterapico di un carcinoma mammario), nel quale il linfedema non è ancora clinicamente evidente, ma la linfoscintigrafia dimostra un rallentamento della circolazione linfatica, con iniziale dermal back flow.
E’ possibile, inoltre, valutare la gravità del quadro clinico sulla base della differenza volumetrica tra gli arti, definendola minima (<20% di aumento di volume), moderata (aumento dal 20 al 40%) e grave (> 40 % di aumento).
Utile, infine, la valutazione delle conseguenze funzionali sul paziente con la considerazione che siano coinvolte dalla patologia una grande articolazione dell’arto, due, o tutte e tre le grandi articolazioni.
Definizione: I Linfedemi evolvono secondo 5 stadi clinici.
b) Lieve edema reversibile con la posizione declive ed il riposo notturno.
Stadio 2:Edema persistente che regredisce solo in parte con la posizione declive ed il riposo notturno.
Stadio 3:Edema persistente (non regredisce spontaneamente con la posizione declive) ed ingravescente (linfangiti acute eresipeloidi).
Stadio 4:Fibrolinfedema (verrucosi linfostatica iniziale) con arto a “colonna”.
Stadio 5:Elefantiasi con grave deformazione dell’arto, pachidermite sclero-indurativa e verrucosi linfostatica marcata ed estesa. Grado C
Per una adeguata terapia è indispensabile una diagnosi precisa del linfedema. Nella maggior parte dei pazienti, sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo, si può agevolmente porre diagnosi di linfedema: edema generalmente di consistenza aumentata, a seconda della maggiore o minore componente tissutale fibrosclerotica, assenza del segno della fovea, anche negli stadi più precoci della malattia, presenza del segno di Stemmer (non plicabilità della cute alla base del 2° dito del piede), lesioni distrofiche cutanee (sequele post-linfangitiche, ipercheratosi, verrucosi linfostatica, linforrea, chilorrea, ecc.), frequenti complicanze dermato-linfangio-adenitiche (DLA). Utile, inoltre, la valutazione delle stazioni linfonodali, per evidenziare l’associazione o meno di linfoadenopatie acute o croniche.
Nelle forme più complesse di angiodisplasia, caratterizzate da una condizione di iperstomia artero-venosa (Sindrome di Mayall ) o da macro e microfistole artero-venose congenite (Malattia di Klippel-Trénaunay o di Klippel-Trénaunay-Servelle), il quadro clinico può essere caratterizzato da: gigantismo con allungamento dell’arto, dismorfismo più o meno marcato del piede, angiomi color “vino Porto”, piatti e a carta geografica, iperidrosi della pianta. Esistono, tuttavia, forme spurie, ancora più difficili da diagnosticare per la prevalente componente linfedematosa.
In alcuni casi, inoltre, la presenza di condizioni sovrapposte quali l’obesità patologica, l’insufficienza venosa, il trauma più o meno evidente e ricorrenti infezioni possono complicare il quadro clinico. Inoltre, nel considerare l’origine di un linfedema uni o bilaterale delle estremità, specialmente negli adulti, è necessario prendere anche in considerazione l’eventualità di una causa tumorale. Per tutte queste ragioni prima di inoltrarsi nel trattamento del linfedema, è assolutamente indispensabile un valutazione diagnostica completa ed integrata. L’associazione di altre condizioni patologiche, quali l’insufficienza cardiaca congestizia, l’ipertensione arteriosa e patologie cerebrovascolari, compreso l’ictus, possono a loro volta influenzare l’iter terapeutico.
Qualora non fosse chiara la diagnosi di linfedema o ci fosse bisogno, anche per considerazioni di ordine prognostico, di una migliore definizione diagnostica del quadro clinico, è opportuno un consulto specialistico linfologico, indirizzando il paziente ad un centro specializzato di linfologia.
Valutazione funzionale
In funzione della disabilità complessiva presentata dal paziente affetto da linfedemi degli arti (comprese le voci dell’International Classification of Functioning – I.C.F. – relative alle sfere psichica, sessuale, sociale etc.) è possibile distinguere i seguenti gradi di impegno funzionale :
La Linfoscintigrafia è l’esame di prima scelta per la definizione diagnostica dell’edema, per confermarne la natura linfostatica, per l’individuazione della causa (da ostacolo o da reflusso), per valutare l’estensione della malattia (dermal back flow), la compromissione maggiore o minore del circolo linfatico profondo rispetto a quello superficiale, il drenaggio attraverso le stazioni linfonodali. Utile, pertanto, lo studio della circolazione linfatica sia superficiale che profonda, mediante l’opportuna iniezione del tracciante nelle sedi specifiche di drenaggio dei due sistemi. L’esame non è invasivo, facilmente ripetibile, eseguibile anche in età neonatale. Consente, infine, di individuare lo stadio IA della linfostasi, ancora clinicamente non manifesta, svolgendo così un ruolo fondamentale nella prevenzione del linfedema secondario. Utile, infine, lo studio nel follow-up dei diversi metodi terapeutici del linfedema e, in particolare, delle tecniche di microchirurgia linfatica.
La Linfografia rappresenta modernamente un’indagine indispensabile per lo studio delle complesse patologie congenite o acquisite dei vasi chiliferi, della cisterna chyli e del dotto toracico. Viene più modernamente eseguita in sala operatoria, in anestesia locale e con preparazione dei vasi linfatici mediante tecnica microchirurgica.
L’Ecografia, la TC e la RM rappresentano strumenti diagnostici utili per la definizione delle complesse sindromi in cui si associano quadri di angiodisplasia e linfedema, oltre che per lo studio della eventuale natura organica ostruttiva del linfedema secondario a malattia tumorale. In particolare, per i linfedemi degli arti, l’Ecografia ad alta risoluzione (sonde lineari da 10-14 MHz) evidenzia l’incremento degli spessori sopra e sottofasciali basali e la riduzione dello stesso dopo trattamento. Evidenzia altresì il grado di compressibilità tissutale e le caratteristiche ecogeniche diverse a seconda della prevalente componente idrica o fibrotica tissutale. Utile, a questo proposito, ai fini del monitoraggio del trattamento ed ai fini prognostici. Un ulteriore apporto della metodica è rappresentato dalla possibilità di individuare gli spessori muscolari sottofasciali consentendo di mirare l’intervento terapeutico atto ad ottimizzare il trofismo muscolare stesso.
La Linfangio-RM, in particolare, eseguita con la metodica di sottrazione del tessuto adiposo, può fornire informazioni importanti nei quadri avanzati di natura ostruttiva, in cui le vie linfatiche si presentano dilatate e ripiene di linfa.
Indispensabile è lo studio della circolazione venosa mediante Eco-Color-Doppler (indagine costantemente impiegata nella valutazione strumentale di un arto edematoso), Fleboscintigrafia e Flebografia (se necessarie sulla base dell’esame eco-Doppler).
Anche lo studio della circolazione arteriosa può rendersi indispensabile nei quadri di panangiodisplasia con associato linfedema. In questi casi, oltre all’esame Eco-Color-Doppler, può essere utile lo studio arteriografico digitale.
La Linfografia indiretta, la Microlinfografia fluoresceinica, il Test linfocromico di Houdack – Mc Master, la misurazione del flusso e delle pressioni linfatiche e il Laser-Doppler possono fornire utili informazioni sulle condizioni anatomiche e funzionali, oltre che della microcircolazione sanguigna (Laser-Doppler), anche dei linfatici iniziali e dei collettori linfatici, ma la loro utilità clinica è limitata.
Si sta cominciando ad utilizzare in maniera concreta gli esami genetici per la definizione di un numero limitato di sindromi ereditarie specifiche con mutazioni genetiche distinte, quali quella del linfedema-distichiasi ed alcune forme della malattia di Milroy. Si ritiene che, in futuro, questo tipo di esame, associato a descrizioni fenotipiche accurate, possa diventare di routine per la classificazione delle sindromi linfangiodisplsiche familiari e altre alterazioni congenite-dismorfogenetiche caratterizzate da linfedema, linfangectasia e linfangiomatosi. Studi recenti hanno evidenziato la associazione tra linfedema ed alterazioni dei cromosomi 5, 16, 18 e 21.
In presenza di linfedema periferico di lunga durata, si dovrebbe prestare la massima cautela prima di asportare linfonodi regionali ingrossati, dal momento che raramente le informazioni istologiche che se ne ricavano sono effettivamente utili, mentre tali manovre potrebbero aggravare significativamente l’edema periferico. La biopsia con ago aspirato e successivo esame citologico condotto da un patologo esperto offre una valida alternativa nel caso di sospetta neoplasia maligna.
Sono stati recentemente realizzati interessanti studi di immunoistochimica su materiale bioptico linfatico-linfonodale prelevato durante gli interventi di microchirurgia linfatica e sulla matrice interstiziale. Da tali studi sono scaturite importanti informazioni sugli aspetti fisiopatologici del linfedema e, in particolare, sono state individuate e classificate le alterazioni della parete dei collettori linfatici e dei linfonodi che compaiono ed evolvono progressivamente e parallelamente con il peggioramento del quadro linfedematoso e, più specificamente, in proporzione all’aumentare della durata del linfedema. Pertanto, proprio sulla base di queste osservazioni si conferma come sia indispensabile, per un adeguato trattamento della malattia, realizzare un valido drenaggio linfatico ove mancante od ostruito quanto più precocemente possibile, al fine di ottenere risultati positivi e duraturi nel tempo, grazie proprio alla conservata azione della pompa linfatica autonoma correlata alla presenza delle fibrocellule muscolari lisce normalmente presenti nei precollettori e nei collettori linfatici, oltre che nella capsula linfonodale, ma che progressivamente si perdono e vengono sostituiti da tessuto fibrosclerotico adinamico con il perdurare della malattia.
Definizione: il primo livello diagnostico è rappresentato dalla linfoscintigrafia, dall’Ecografia ad alta risoluzione e dall’Ecocolordoppler; il secondo livello, dall’ecografia, TC, RM, linfografia; il terzo livello, flebografia, arteriografia, genetica, biopsia.
La Linfoscintigrafia rappresenta l’esame strumentale fondamentale, sia nelle forme primarie che secondarie, ai fini del riconoscimento della patologia Grado A.
La terapia del linfedema periferico viene suddivisa in metodologie conservative (non chirurgiche) e chirurgiche.
A) Fisioterapia
1 – Terapia fisica combinata (Combined Physical Therapy – CPT). Questa metodica consta generalmente di un programma di trattamento in due fasi: la prima fase prevede la cura della pelle, linfodrenaggio manuale, una serie di esercizi di ginnastica ed elastocompressione normalmente applicata con bendaggi multistrato. La seconda fase, che va iniziata non appena completata la fase 1, con l’obiettivo di mantenere ed ottimizzare i risultati ottenuti nella fase 1, comprende la cura della pelle, l’elastocompressione per mezzo di tutore (calza o bracciale) a basso grado di elasticità, la ginnastica per il recupero funzionale del o degli arti e ripetute sedute di linfodrenaggio manuale a seconda dei singoli casi. Condizioni essenziali per la riuscita del protocollo fisico combinato sono la disponibilità di personale medico (linfologi clinici), infermieristico e di fisioterapisti adeguatamente formati su tale metodica terapeutica. L’elastocompressione, se non applicata adeguatamente, può essere inutile ed anche dannosa. Per la cura a lungo termine, è indispensabile che vengano prescritti tutori per l’elastocompressione (se necessario, anche realizzati su misura) per il mantenimento dei risultati ottenuti dopo CPT.
Il trattamento fisico combinato deve essere eseguito in caso di ‘necessità clinica’ del paziente (insorgenza, riacutizzazione o complicanza flogistica recente). Deve essere eseguito presso Centri di provata esperienza (Letteratura).
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I Tribuni dei Rifiuti Napoletani, ovvero: “A dicere so’ tutte capace, ‘o defficile è a ffà”.
C’è da rimanere increduli e spaventati per la crisi rifiuti che affligge, da ben quattordici anni, la bella città di Napoli ed altre aree della sua provincia. Per capire il motivo di tanta spazzatura abbandonata sulle sue strade, mettendo a serio rischio la salute dei cittadini e l’ambiente, è necessario riuscire a conoscere le cause che realmente hanno determinato questa vergognosa situazione, che non ha eguali in altre provincie e comuni del nostro Stivale.
Le notizie diffuse in questi giorni dalla maggior parte dei media pongono in risalto la protesta dei cittadini, che tentano di non far più utilizzare la vicina discarica di Pianura,e gli scontri di questi con la polizia. Una tenzione che man mano che passano i giorni sta assumendo toni sempre più violenti, tanto da far sospettare ed ipotizzare un’infiltrazione di gruppi violenti di persone, probabilmente estranee alla cittadinanza manifestante, che avversa la polizia con sassaiole e lanci di bottiglie molotov. Una preoccupante escalation che va senz’altro subito stoppata con delle soluzioni radicali nel breve e medio termine da parte del Governo, escludendo da questa vicenda tutti quegli operatori pubblici che non sono stati all’altezza di risolvere questa grave situazione. Nessuno può addurre a discarico delle proprie responsabilità la eventuale presenza di elementi della camorra, che hanno o avrebbero vanificato l’opera ed i programmi degli amministratori locali e dei numerosi consulenti coinvolti nelle strategie atte allo smaltimento dei rifiuti, perchè l’impegno delle istituzioni ad assolvere i loro compiti non può essere impedito da alcuno, tanto meno dalla così detta camorra. Con pari logica non trova giustificazione l’addebito che potrebbe essere mosso verso l’inefficenza delle imprese eventualmente incaricate ad
intervenire per lo smaltimento degli stessi rifiuti, perchè allora sorgerebbe il dubbio sul non controllo dello svolgimento dei lavori a loro affidati. Quindi è necessario che l’attuale esecutivo dia inizio ad una scrupolosa indagine sulle cause di questa emergenza rifiuti campana per rilevare le responsabilità dirette ed indirette ed estromettere una volta per tutte gli eventuali colpevoli di incapacità.
Un’altro rilevante aspetto da analizzare è il lavoro svolto dai personaggi scelti come consulenti per l’individuazione delle aree ove sono state create le discariche, per verificarne inequivocabilmente l’idoneità ambientale in relazione alle caratterstiche dei sottosuoli campani e delle attività umane limitrofe ai territori delle discariche. Poi dovrebbe seguire un attento controllo dei finanziamenti forniti alle istituzione di quella regione per verificarne il giusto impiego, come dovrebbe essere verificato il rispetto di tutte le normative emanate ed in vigore per lo smaltimento dei rifiuti campani.
Senza pregiudizi o facili individuazioni di capri espiatori, il Governo dovrebbe quindi affidare alla Magistratura l’oneroso compito di verificare le responsabilità di questa annosa emergenza ed unitamente fornire alla Campania una maggiore e giusta presenza dello Stato per porre fine a questo micidiale pandemonio e per confortare definitavemente il popolo partenopeo da giuste e condivise iniziative a favore della loro salute fisica ed ambientale.
