Una straordinaria figura di innovatore

Il ruolo di Galilei
Il ruolo svolto da Galilei nella cultura del Seicento si articola in diversi aspetti: lo specifico contributo scientifico nell’ambito dell’astrofisica e della fisica terrestre; la battaglia culturale volta a garantire la libera circolazione delle nuove teorie; la delineazione di una metodologia di indagine alternativa rispetto alla dominante cultura aristotelica. A questi temi si intrecciano i presupposti filosofici che guidano la sua opera scientifica e l’attenta scelta delle forme comunicativo-linguistiche, per le quali Galilei va considerato il fondatore della moderna prosa scientifica italiana.

La contestazione delle teorie aristoteliche
Tutta l’attività di Galilei scienziato rientra nel periodo della cosiddetta «rivoluzione scientifica» e si inserisce in un processo (già da tempo avviato) di contestazione dei fondamenti della fisica aristotelica, ancora dominante negli ambienti universitari europei e accreditata dalla Chiesa cattolica quale teoria ortodossa del mondo naturale. I pilastri di questa concezione risalivano, appunto, ad Aristotele (secolo IV a.C.), le cui teorie astronomiche erano state riprese e codificate in termini matematici da Tolomeo (secolo II d.C.). Il sistema aristotelico-tolemaico, in primo luogo, concepiva l’universo come una totalità finita, avente un centro, la Terra, ben definito e immobile. Sosteneva, in secondo luogo, la netta separazione fra mondo celeste e mondo terrestre (o «sublunare») considerati diversi per composizione materiale – il primo fatto di etere, sostanza perfetta, incorruttibile e trasparente, il secondo dai quattro tradizionali elementi, terra, acqua, aria e fuoco – e per le caratteristiche dei movimenti propri di ognuno, circolari uniformi per il primo, rettilinei per il secondo. Infine, nell’ambito della fisica terrestre, presupponeva che tutti i corpi in movimento tendessero a riacquistare lo stato di quiete per una inclinazione «naturale» insita in loro stessi e non per l’azione frenante di forze esterne. Le contraddizioni fra questo modello e i dati dell’osservazione erano emerse fin dall’antichità, ma non avevano indotto ad abbandonare la teoria, bensì a sempre più raffinati e complessi aggiustamenti della stessa. Bisognò attendere la pubblicazione, nel 1543, dell’opera di Copernico De revolutionibus orbium coelestium, perché un punto fondamentale del modello aristotelico-tolemaico, la centralità della Terra, venisse negato, anche se ci fu chi volle presentare la teoria copernicana come una pura ipotesi matematica e non come la descrizione dell’effettivo funzionamento del meccanismo celeste. Galileo stesso, nel Proemio al Dialogo sopra i due massimi sistemi, ripete questa tesi in funzione prudenziale.

Il sostegno alle teorie di Copernico
Una nuova strada era stata comunque tracciata: l’appassionata rivendicazione di Giordano Bruno della natura infinita dell’universo e l’affermazione dell’astronomo tedesco Johannes Keplero dell’andamento ellittico e non uniforme dei moti dei pianeti attorno al Sole (teoria, peraltro, che Galilei non condivideva) approfondirono ulteriormente il solco tra la fisica aristotelica e la «nuova» fisica. Nel 1610 Galilei, annunciando nel Sidereus nuncius le scoperte compiute con il telescopio, riteneva di poter offrire un decisivo supporto alla teoria copernicana, così da elevarla alla dignità di un’effettiva descrizione del cosmo, e non soltanto di un’ingegnosa ipotesi matematica. La certezza data dall’osservazione diretta dei pianeti scardinava l’idea della eterogeneità tra mondo terrestre e mondo celeste (la conformazione della Luna, infatti, appariva non dissimile da quella Terra) e faceva crollare la convinzione che la Terra fosse il centro immobile di tutti i movimenti cosmici: se Giove era il centro di rotazione di altri corpi celesti ed era anch’esso in movimento, lo stesso poteva valere per la Terra, e le dimensioni dell’universo e le distanze astrali andavano di conseguenza drasticamente ripensate.


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