Verismo

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Il Verismo è una corrente letteraria nata all'incirca fra il 1875 e il 1895 ad opera di un gruppo di scrittori che non costituirono una vera e propria "scuola" ma era comunque fondato su precisi principi.

Il Verismo nasce sotto influenza del clima positivista, quell'assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca che si sviluppa e prospera dal 1830 fino alla fine del XIX secolo. Inoltre, il Verismo si ispira in maniera evidente al Naturalismo, un movimento letterario diffuso in Francia a metà ottocento. Per gli scrittori naturalisti la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e umana, rappresentandone rigorosamente le classi, comprese quelle più umili, in ogni aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita.

Si sviluppa a Milano, allora il centro culturale più vivo della penisola[1], in cui si raccolgono intellettuali di regioni diverse; le opere veriste però rappresentano soprattutto le realtà sociali dell'Italia centrale, meridionale e insulare. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga, di Luigi Capuana e di Federico de Roberto; Napoli in quelle di Matilde Serao e di Salvatore di Giacomo; la Sardegna nelle opere di Grazia Deledda; Roma nelle poesie di Cesare Pascarella; la Toscana nelle novelle di Renato Fucini.

Il primo autore italiano a teorizzare il verismo fu Luigi Capuana, il quale teorizzò la "poesia del vero"; così Giovanni Verga, che dapprima era collocabile nella corrente letteraria tardoromantica (era stato soprannominato il poeta delle duchesse e aveva un successo notevole) intraprese la strada del verismo con la raccolta di novelle Vita dei campi e Novelle rusticane e infine col primo romanzo del Ciclo dei Vinti, I Malavoglia, nel 1881. In Verga e nei veristi, a differenza del naturalismo, convive comunque il desiderio di far conoscere al lettore il proprio punto di vista sulla vicenda, pur non svelando opinioni personali nella scrittura.

Tecniche[modifica | modifica wikitesto]

La principale caratteristica del Verismo, che si discosta da altre tecniche narrative, è l'utilizzo del "principio dell'impersonalità", tecnica che, come mostrato da Verga, consente all'autore di porsi in un'ottica di distacco nei confronti dei personaggi e dell'intreccio del racconto. L'impersonalità narrativa è propria di una narrazione distaccata, rigorosamente in terza persona e, ovviamente, in chiave oggettiva, priva, cioè, di commenti o intrusioni d'autore che potrebbero, in qualche maniera, influenzare il pensiero che il lettore si crea a proposito di un determinato personaggio o di una determinata situazione. Il verismo, come si vede in Verga, si interessa molto delle questioni socio-culturali dell'epoca in cui vive e si sviluppa. In Giovanni Verga, per esempio, ritroviamo in molte opere la questione della situazione meridionale, dei costumi e delle usanze, del modo di vivere assai diverso rispetto a quelli del nord Italia. Secondo Verga, non è possibile che un personaggio di umili origini riesca in qualche modo, per quanto esso valga, a riemergere da quella condizione in cui è nato. Non è possibile che un povero diventi ricco. In questo caso vi è la consueta eccezione narrativa nella novella La roba, in cui il povero e umile contadino Mazzarò riesce a divenire ricco, grazie al suo impegno. Ma anche giunto a una condizione relativamente benestante, o quanto meno comoda, il personaggio non potrà mai vivere tranquillamente, non potrà mai integrarsi in quello che si definisce l'ambiente alto-borghese, proprio perché egli non vi appartiene di nascita. Questo principio triste e sconsolante ha come soggetto narratori popolari, quasi sempre contadini o artigiani, che spiegano a modo loro la vicenda, talvolta usando espressioni gergali. Gli autori veristi, in particolare Verga, tendono ad usare un linguaggio non colto, che si caratterizza per l'assenza di segni grammaticali, celebre è anche l'artificio di regressione. È da citare, da ultimo, il principio della concatenazione e della concatenazione opposta; il primo consiste nel porre a poca distanza parole di significato analogo, il secondo di mettere una parola e subito dopo il suo contrario. Si termina con la ripetizione narrativa, la quale, come si capisce, privilegia le ripetizioni.

Il verismo poetico[modifica | modifica wikitesto]

« La prima difficoltà a trattare la teoria del verismo letterario italiano è di ragione lessicale. Poiché gli stessi scrittori e critici che, dal tempo della scapigliatura lombarda in poi, si dichiaravano per quest'arte nuova o si riferivano ad essa, usarono, spesso, come termini pressappoco affini, verismo, realismo, naturalismo »
(G. Marzot, Battaglie veristiche dell'Ottocento, Principato, 1941, p. 7)

Attorno al 1877, riprendendo in parte certe affermazioni della Scapigliatura, come quelle di Emilio Praga che aveva cantato:

« giacché canto una misera canzone,
ma canto il vero![2] »

o ancora quelle di Arrigo Boito:

« E sogno un'arte reproba
che smaga il mio pensiero
dietro le basse imagini
d'un ver che mente al Vero[3] »

con la pubblicazione di Postuma di Olindo Guerrini, si inizia a parlare nuovamente di verismo[4][5][6] contrapponendolo al termine di idealismo. In quest'accezione il termine verismo non ha niente a che fare con la poetica di Giovanni Verga o di Luigi Capuana; né, d'altra parte, il termine idealismo si rifà alla filosofia di Schelling o Fichte.

In questa accezione, infatti, veristi furono chiamati quegli scrittori che rappresentavano una realtà materialistica, mettendone in luce anche gli aspetti più sgradevoli e che erano in aperta rottura con i canoni poetici di allora.[7] Così appropriatamente scrive Benedetto Croce:

« celebrazione della vita terrena e dell'amore carnale […] E voleva dire anche guardare alla realtà senza falsi pudori e ipocrisie e idealizzamenti, dando alle cose le parole che meritano, e perciò stracciare i veli che celano le piaghe sociali, iniziare la ribellione contro le tirannie d'ogni sorta.[8] »

Temi privilegiati di questa poesia sono, ad esempio, la lode al vino,[9] l'invettiva contro la donna amata, spesso rappresentata come una prostituta,[10] l'anticlericalismo. L'eccesso arriva con poeti quali Ulisse Tanganelli che in un suo sonetto No: tu non sei la vergine ideata ripudia la donna poiché, essendo grassa, potrebbe sfondargli letto e solaio.Inoltre, considerando che questo tipo di verismo ebbe come genere privilegiato la poesia e non la prosa, in queste opere manca del tutto la ricerca di una oggettività narrativa (tipica, ad esempio, dei romanzi verghiani),[11] così come sono assenti gli artifici stilistici quali l'artificio di regressione o il discorso indiretto libero. I padri putativi furono identificati in Baudelaire[12] e Théophile Gautier[13], senza dimenticare le pagine della prefazione al Cromwell di Victor Hugo. Una teorizzazione di questo verismo si può trovare nel Prologo di Nova polemica di Olindo Guerrini.

Fra gli scrittori veristi si devono annoverare Pier Enea Guarnerio con l'opuscolo Auxilium, Girolamo Ragusa Moleti con Prime armi, Ulisse Tanganelli con Aestiva e Autumnalia.

Fra gli idealisti che, al contrario, rivendicavano una rappresentazione più moralistica della realtà, si devono includere Luigi Alberti che arrivò «a invocare l'intervento del sovrano, che ponesse un freno al dilagare degli elzeviri»[14] e Giovanni Rizzi. I due risposero sdegnosamente ai versi stecchettiani con alcune poesie (si veda Praefatio e Un grido). Altri contestatori del verismo furono Luigi Vivarelli Colonna e Gaetano Zocchi che compilarono alcuni pamphlet (del primo vale la pena ricordare: Lorenzo Stecchetti o il verismo nella letteratura e nell'arte; del secondo: Verismo e verità: ai poeti moderni).

In una posizione intermedia, si inserisce il libro Anticaglie di Felice Cavallotti il quale rimproverava certi eccessi nella rappresentazione di una cruda realtà, ma dall'altra si distaccava dal troppo moralismo e idealismo.

Linguaggio[modifica | modifica wikitesto]

In quei tempi il linguaggio cambiò, molte parole dialettali sono entrate a far parte dell'italiano vero e proprio e alcuni termini inglesi e francesi sono stati messi nel linguaggio italiano comune. Inoltre questo movimento prevedeva, la maggior parte dei casi, l'utilizzo di vocaboli siciliani.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ G. Baldi, S. Giusso, M. Razetti, G. Zaccaria, Testi e storia della letteratura Vol. E, Milano - Torino, Paravia, pag. 340.
  2. ^ E. Praga, Preludio, 31-32
  3. ^ A. Boito, Dualismo
  4. ^ R. Carnero, La poesia scapigliata, Milano, Rizzoli, 2007, p. 470: «L'opera di Guerrini si configura, così, come quella di un esponente di primo piano del verismo poetico».
  5. ^ B. Romani, Dal simbolismo al futurismo, Sandven, 1969: «Ma l'origine di Postuma fu indipendente dal successo ottenuto dal libro, sul quale venne in buona parte edificata la dottrina verista italiana. Tutta una scuola poetica si creò attorno a Lorenzo Stecchetti»
  6. ^ C. Mariotti, Le polemiche stecchettiane, in O. Guerrini, Nova Polemica, a c. di C. Mariotti, Il Ponte Vecchio, p. 7: «Il panorama letterario dell'epoca, infatti, era tutto percorso da un infuocato dibattito fra veristi e idealisti che rinnovava le polemiche suscitate tempo addietro dalle liriche scapigliate».
  7. ^ L. Borsi, Nazione, democrazia, Stato, Giuffrè, 2009, p. 12. http://books.google.it/books?id=-67qqg1OHCcC&pg=PA12&dq=verismo+guerrini&hl=it&sa=X&ei=DD34T9OrBI744QTCydX2Bg&ved=0CG4Q6AEwCQ#v=onepage&q=verismo%20guerrini&f=false
  8. ^ B. Croce, Tra i giovani poeti, veristi e ribelli, in La letteratura della Nuova Italia, vol. V, 1938, p. 1
  9. ^ Si veda la poesia Ebbro in Postuma di Olindo Guerrini.
  10. ^ Si veda Il canto dell'Odio di Olindo Guerrini in Postuma o ancora la poesia Memento di Girolamo Ragusa Moleti, compresa in Prime armi.
  11. ^ O. Guerrini, Nova Polemica, a c. di C. Mariotti, Il Ponte Vecchio, p. 7.
  12. ^ Si veda ad esempio Une charogne, in cui il poeta descrive una carcassa d'animale.
  13. ^ Importanti sono le pagine di prefazione al romanzo Mademoiselle de Maupin.
  14. ^ M. Novelli, Il verismo in maschera, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2004, p. 187. Quasi tutte le opere dei veristi erano stampate in caratteri elzeviriani.

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