La Vergine di Roncisvalle

Varcati i Pirenei, il primo villaggio che i pellegrini incontrano in terra spagnola è Roncisvalle. La sua fama è curiosamente inversamente proporzionale alle sue dimensioni. Raccolte in un fazzoletto di terra ci sono pochissime case, la Real Collegiata, il silo di Carlo Magno e l’hospital per i pellegrini. Nonostante la sua dimensione sia modesta, Roncisvalle è un villaggio unico al mondo, ricco di tesori e di memoria legati indissolubilmente alla storia della Cristianità, e quindi anche alla storia personale di ogni pellegrino che nella Collegiata, al termine della Santa Messa serale, riceve la prima e tradizionale benedizione in terra spagnola, viatico al suo pellegrinare verso la tomba di San Giacomo, nella lontana Galizia. Immersa nei boschi, solitamente avvolta da nebbia e nuvole, Roncisvalle conserva intatta l’atmosfera degli eventi che sul finire del 700 hanno cambiato la storia, le arti ed anche la religiosità dell’homo viator, l’uomo medievale. La storia del paladino più amato da Carlo Magno, narrato nella famosissima Canzone di Orlando che trovatori e pupari hanno raccontato nelle piazze di tutta Europa, è universalmente nota.
Si dice, e sembra proprio che la suggestione si avvicini al vero, che nelle sere in cui il vento soffia forte, tra Ibaneta e Roncisvalle si senta il suono dell’olifante a cui Orlando, nipote di Carlo, dette fiato nel tentativo disperato di richiamare l’attenzione dell’Imperatore ignaro del tradimento che sul colle pirenaico si stava consumando. A Zaragoza, Gano fu inviato a trattare col re saraceno Marsilio. L’ingresso delle truppe franche doveva essere poco più di una formalità, dal momento che la superiorità dei cristiani non lasciava adito ad altre soluzioni. L’idea di poter conquistare Zaragoza senza colpo ferire si rivelò subito infondata e l’assedio imposto da Carlo al castello aragonese si dovette interrompere quando giunse la notizia della rivolta dei Sassoni, che fece tornare l’Imperatore sui suoi passi. Gano fece balenare al re moro l’idea che si poteva sconfiggere Carlo architettando un piano infallibile: l’unione dei Mori e dei Baschi nelle gole di Roncisvalle, troppo strette per il passaggio di ventimila uomini, sarebbe stata fatale. Carlo stava giocando a scacchi con Gano di Maganza, a Saint-Jean-Pied-de-Port, quando l’olifante suonò. Gano lo distrasse e lo convinse ancora per un po’ a continuare il gioco. L’imperatore non sapeva ancora che colui che lo affrontava a scacchi aveva organizzato l’agguato per vendicarsi del figliastro Orlando che tanto odiava, quanto Carlo amava più di tutti tra i suoi paladini. Insieme ad Orlando, cui Carlo aveva affidato la retroguardia nel ritorno dal primo tentativo di conquistare pacificamente Saragoza, vi era l’arcivescovo Turpino. Questi, quando l’agguato ebbe inizio, benedisse i propri uomini assicurandoli che qualora fossero morti nella battaglia, sarebbero diventati santi e martiri e che si sarebbero assisi in cielo, negli scranni più alti. Turpino alleviò l’agonia dei Franchi con l’acqua della fonte di Orlando, nei pressi della cima del colle, sgorgata quando il paladino, in sella al suo cavallo, con la spada Durlindana conficcò la roccia, ancora oggi visibile. Orlando esalò l’ultimo respiro e la sua anima venne portata in cielo dagli arcangeli Michele e Gabriele.
La risposta di Carlo non si fece attendere. Salì ad Ibaneta e su una pietra pianse lacrime amarissime, che sembrano ancora esservi scolpite. Poi, con l’aiuto di Dio che rallentò il cammino del sole, raggiunse i Mori insieme a migliaia di donzelle trasformate in guerriere, e riuscì a fare in modo che i Mori si arrendessero ai piedi delle giovani soldatesse franche. Fu un angelo ad avvisarlo che la battaglia sarebbe stata durissima e che avrebbe dovuto aggiungere alle sue forze quante più donzelle potesse, per proteggere il fianco del suo esercito. Furono 56066 le fanciulle che risposero all’invito del loro Imperatore, e dettero prova di grande valore nella battaglia, spaventando i nemici che le credettero guerrieri dai lunghi capelli. L’esercito saraceno, terrorizzato da un nemico così imponente, si arrese e i soldati si fecero battezzare. Al loro risveglio, la mattina successiva alla vittoria, dopo aver dormito nei pressi di Valcarlos, le lance delle coraggiose donzelle conficcate nel terreno la sera precedente, divennero alberi, dando vita al “bosco delle lance”. Nella battaglia morirono sei pari di Francia, tra i quali lo stesso Turpino e il fido Oliviero, grande amico di Orlando. La reazione di Carlo Magno fu immediata: insegue e distrugge l’esercito nemico. Sfida a singolar tenzone il re babilonese Baligan sotto le porte di Zaragoza e lo uccide. Ferito, muore anche Marsilio e Zaragoza si arrende. La moglie di Marsilio, Bramimonda, sarà portata in Francia dove verrà battezzata col nome di Giuliana. Re Carlo torna poi ad Aix-en-Province, dove viene fatto processare Gano. Lui si difende asserendo che non intendeva certo danneggiare il suo re, ma unicamente il suo figliastro Orlando. Molti suoi parenti lo difenderanno, tanto che il processo sembra in stallo, quando Pinabel lancia la proposta della sfida a singolar tenzone rivolta a chi fosse convito della colpevolezza di Gano. Thierry d’Anjou accetta la sfida e lo sconfigge.
Dopo questo giudizio di Dio Gano viene condannato a morte. Da allora Gano di Magonza, dopo Giuda, rappresenta nella Cristianità l’archetipo per eccellenza del traditore. La storica scacchiera davanti alla quale si trattennero Gano e Carlo Magno, la si pu%